Oggi parliamo di economia. Ma in termini un po’ così, una
specie di economia cacio e pepe, la mia economia domestica: in altre parole, la
mia vita ai tempi della crisi.
Visto che il destino, anche quando non lo metto in conto, mi
fa muovere in direzione ostinata e contraria, mi sono trasferito a Valencia nel
Settembre 2011, quando parte della valanga di italiani trasferitisi nella
“Spagna dei Balocchi” nel decennio precedente iniziava il suo mesto rientro in
terra natía, dopo aver perso il lavoro o l’attività in Spagna a causa della
recessione. Negli ultimi tempi, in Spagna come nel resto dell’Europa cosiddetta
periferica, il governo centrale e quelli locali tagliuzzano qua e là la spesa
pubblica e aumentano le tasse, nel vano tentativo di raschiare il fondo di un
barile ormai vuoto.
Ahimé, se in italia il compito spetta al cosiddetto
“SuperMario”, in Spagna c’è “Super(?)Mariano”, ossia Mariano Rajoy che, con la
manovra dello scorso gennaio, non si è risparmiato.
Molti economisti criticano l’ansia fiscale dell’Unione
Europea dicendo che le manovre a cui stiamo assistendo risulteranno in una
recessione ancora più dura. Il ragionamento è semplice: le manovre restrittive
(tasse più alte, tagli alla spesa e ai contributi sociali, introduzione di
ticket anche per respirare l’aria di casa) riducono il reddito disponibile per
consumi.
C’è però un secondo problema, che è la tanto citata perdita
di competitività dei Paesi del sud Europa, anche dovuta a un costo del lavoro
unitario cresciuto troppo negli ultimi anni. (Attenzione, qui arriva il primo
fraintendimento: non sono i salari ad essere cresciuti troppo, sono i salari in
relazione alla produttività. Come risolvere il problema? “Tagliando i salari” è
la risposta che va di moda nella Collezione Primavera/Estate 2012 dell’UE. Se è
vero che misure e riforme per stimolare la produttività hanno effetto solo nel
medio periodo, che aspettiamo a metterle in pratica? Perdincibacco.)
Il problema è che così il reddito disponibile si riduce
ulteriormente, deprimendo a sua volta i consumi, e allontanando la ripresa.
Per capire un po’ come funziona questo circolo vizioso che
ci sta trascinando nella seconda recessione in 4 anni, vediamo un po’ la storia
del consumatore-tipo: io.
Appena arrivato qui, un po’ per necessità (dovevo comprare
un sacco di cose per la casa nuova) un po’ per ansia da bella vita (“ma qui è
tutto economico! spendiamo!”), mi sono dato alle spese allegre, dilapidando tutti
i miei (magri) risparmi.
…Poi è arrivato il 2012. E sono arrivati:
- L’aumento
dell’ IRPF (come l’IRPEF italiana)
- L’aumento
del biglietto del bus e della metro a Valencia
- L’aumento
del menu del pranzo in facoltà
- L’aumento
della bolletta della luce
- L’aumento
del giramento di coglioni e di tante altre cose.
Mi sono fatto due conti in tasca e tutte queste cose insieme
hanno ridotto il mio potere d’acquisto di circa il 18% (!).
Ed io, consumatore-tipo, ho risposto così:
Il pranzo sociale in facoltà è sostituito da un più triste,
asociale e modesto pranzo in ufficio con cibo portato da casa (nella foto, un
piatto di pasta con le melanzane e una mela modello “fuji”):
La metro si prende solo se è inevitabile. Per tutto il resto
c’è la mia bici Eugenia (davvero, l’ho chiamata così), a cui la settimana
scorsa ho rotto un pedale.
In casa ho due stufe (casa mia non ha il riscaldamento, come
quasi tutte le case qui a Valencia). Fino all’inizio di febbraio di sera le
usavo entrambe; dopo aver ricevuto la bolletta 15 gennaio-15 febbraio pari a
142 € questo è il nuovo modo di non prendere freddo in casa:
Provo una sensazione di empatia verso i manifestanti nelle
proteste quotidiane che si vedono a Valencia:
Conclusione seriosa:
Io penso che i tagli, los recortes, siano un male necessario
per alcuni capitoli della spesa pubblica, dove gli sprechi, negli anni di
bonanza, hanno avuto la meglio. E sono anche una lezione per i Paesi che “si
sono comportati male”.
Ma concordo con i molti economisti che hanno dubbi
sull’opportunità, in questo momento, delle misure che si stanno adottando. E’
importante sì rimettere i conti pubblici su un percorso sostenibile, ma bisogna
ricordare che la sostenibilità dipende (1) dal valore assoluto del debito e (2)
dall’andamento dell’economia (grezzamente, il PIL).
Purtroppo, sorge il dubbio che il conservatorismo
(economico) cieco che guida le scelte dell’UE solo consideri il punto (1), che
la potenza di lobby piccole e ben organizzate faccia sì che i governi
preferiscano un danno generalizzato (aumentare le imposte) ad un intervento
sacrosanto (rendere più competitivi i mercati finali, per ridurre i prezzi
tramite una riduzione dei margini dei profitti, piuttosto che dei salari), e
che qualsiasi piano di rientro del deficit dovrebbe essere ragionevole, oltre
che “necessario”. E, infine, che los recortes sono socialmente accettabili (e
meno iniqui) solo se tutte, proprio tutte le categorie sociali ed economiche
fanno la loro parte, e così, purtroppo, non è.
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