giovedì 10 ottobre 2013

Yonki

La parola yonki è una spagnolizzazione dell'inglese junkie (un po' come beisbol è lo spagnolo per baseball) e indica una persona che ha una dipendenza.
Ebbene, io vi comunico fieramente che ho una dipendenza dalle serie televisive, cosa che, per fortuna, negli ultimi tempi sembra non essere più da sfigati, e questo perché da un po' di anni a questa parte la qualità media dei telefilm, in particolare americani, ma non solo, è aumentata di molto ed alcuni sono delle perle. Anzi, quasi dei lunghi film di ottimo livello.

In questo mi aiutano la mia connessione internet, che mi permette di scaricare a valanga, e siti web (spagnoli) come series.lySeriesYonkis dove ci sono link a tutte le serie che si possano desiderare, per vederle in streaming doppiate o (per fortuna) in lingua originale.

Tutto ciò mentre in Italia la televisione non è in grado di produrre di meglio che la millequattrocentesima stagione di Don Matteo, surreale telefilm in cui un prete di provincia indaga sugli omicidi che avvengono nel suo paesino, che deve avere un tasso di criminalità più alto di quello di Cabot Cove (ti credo: con Nino Frassica come commissario non si può avere fiducia nei Carabinieri), o Fratelli Detective, in cui due fratelli indagano su omicidi, il che ti fa chiedere "ma che cazzo fa la polizia?", o Commesse, in cui delle commesse indagano su omicidi... ah no, questo no. Comunque per dire che c'è un mondo di alto livello tra le serie tv per cui non è più tanto da nerd sfigati esserne un fan, ed è ora di celebrarlo.

Ora, io ho una passione particolare per il crime, il che rende i miei giudizi un po' alterati, ma a suo tempo sono anche stato un grande fan di Lost, Weeds, Grey's Anatomy e chi più ne ha più ne metta. Ad ogni modo, ecco la mia personale Top 11 (non riuscivo a toglierne una per scendere a 10, sorry) delle Serie che ho visto quest'anno, senza spoilers, e con giudizi personalissimi ma affidabilissimi.

11


Downton Abbey. Racconta le vicende di una ipotetica casa nobiliare inglese all'inizio del ventesimo secolo, tra humor inglese, amori (im)possibili e servitù che ne sa una più del diavolo. Mi sono tuffato in questo telefilm quando l'asportazione del dente del giudizio e l'inattesa infezione mi hanno costretto a casa, con laceranti dolori; tuttavia, a lungo andare, trovo che stanchi un po'. Ok gli attori bravi, il senso dell'umorismo trasmesso da Maggie Smith (che sembra essere lì solo per tirar fuori una battutina tagliente ogni 15 minuti), ma francamente un Beautiful novecentesco anche no. Avrebbero potuto fare una sola stagione e avrebbero avuto anche il mio applauso.

10

Bates Motel. Una serie che vuole raccontare le vicende di un Norman Bates adolescente e che te lo mostra con iPhone, che più adolescentedelduemila non si può, lascia all'inizio un po' perplessi. E caratterizzare il paesino come una sorta di Twin Peaks dove gli unici che mancano sono la signora del ceppo e il nano non aiuta molto. Eppure, ho trovato questa serie ben fatta, con Vera Farmiga straordinaria e sicuramente si merita che io sia in attesa della seconda stagione, soprattutto dopo un cliffhanger finale che non ha deluso le aspettative.

9

Dexter 8. Parliamoci chiaro: io sono stato un gran fan di Dexter. Iniziai a vederlo proprio quando iniziò negli States, scaricandolo (illegalmente) usando la rete wifi a cui mi connettevo (illegalmente) dalla mia mansarda di via Santo Stefano a Bologna, dove ero in affitto (illegalmente). E non mi ha mai deluso. Detto questo, l'ottava stagione, le cui aspettative erano state pompate all'inverosimile con la pantomima di "The end is near", mi ha lasciato con l'amaro in bocca. Lotta con Lost per il premio al peggior finale di sempre.

8

The Bridge. Un cadavere viene ritrovato a metà sul confine tra Messico e Texas, su un ponte, e costringe due detective, uno messicano e una americana, a collaborare insieme nonostante siano l'uno l'opposto dell'altro. Uno dei motivi principali per vedere questa serie è il personaggio della detective americana, Sonya, trionfo della totale assenza di empatia e senso dell'opportuno. Un personaggio che, se la serie andrà avanti, potrebbe fare storia. Comunque, la prima stagione è appena finita, io ho visto i primi 3 episodi ma il giudizio è un: mmmmmm, interesting.

7

A young doctor's notebook. Tratto dai racconti di un tizio bulgaro di cui non mi ricordo il nome, racconta le vicende di un neolaureato in medicina nella Russia appena divenuta comunista che viene spedito da Mosca in un remoto villaggio della Siberia. Divertente e sarcastico, senza alcun tentativo di essere politicamente corretto, e poi con Jon Hamm nel cast, direi che sono motivi sufficienti per vederlo. E sono solo 4 episodi.

6

Utopia. Della gente strana si mette alla ricerca di un fumetto, Utopia appunto, che a quanto pare svelerebbe il segreto di nonsisabenecosa. Tuttavia, allo stesso tempo, anche un gruppetto di nerd che tra loro non si conoscono cerca di entrarne in possesso, ma semplicemente perché sono dei nerd. Bellissimi colori e fotografia, sangue e scene un po' estreme che a me ricordano molto Tarantino, una piccola e surreale gemma di sei episodi prodotta da Channel 4 (ecco, iniziamo con le serie inglesi).

5

The Following. Un serial killer mette su una setta di serial killers e si prende gioco dell'FBI, che sicuramente non fa una bella figura. Lo ammetto: ci sono molti passaggi in questo telefilm che sono molto poco credibili, ma nessuna serie mi aveva mai generato tanta ansia quanto questa. Il telefilm è pervaso di un senso di "non ci si può fidare di nessuno" che dà angoscia, e il cast è da applauso. Attendo con ansia la seconda stagione.

4

What Remains. Altro prodotto inglese (questa volta BBC). Il cadavere di una ragazza viene trovato in un sottotetto dopo qualche anno dalla sua morte, senza che nessuno avesse mai denunciato la sua scomparsa. A parte che un giallo, What Remains è una storia tristissima che parla di solitudine e cinismo. Un'altra volta un applauso agli inglesi, che hanno il pregio di mantenere le storie sufficientemente brevi, così da non rovinarle (cosa che spesso gli americani non sanno fare).

3

Game of Thrones 3. Vabbè dai, GOT è famoso, e sicuramente io sono il meno esperto del mondo. Devo dire però che questa serie dà tante soddisfazioni, perché non solo mantiene il suo livello alto con il tempo, bensì lo migliora. La scena del Red Wedding dell'episodio 9 ormai è passata alla storia. Non è più in alto solo perché il finale, rispetto al resto della stagione, era un po' sottotono.

2

Broadchurch. Il cadavere di un ragazzino di 11 anni viene ritrovato sulla spiaggia della cittadina di Broadchurch e ne sconvolge l'esistenza. Questa miniserie di 8 episodi mi ha spezzato il cuore. E non per la storia in sé della morte di un ragazzino: anzi, trovo che spesso film, telefilm, e, nella vita reale, TG e talk show usano storie di questo tipo in modo squallido, tirandoti fuori la lacrima facile. Ho sempre odiato il modo di fare di certo giornalismo, come talvolta in Italia, che chiama Tommaso Onofri "Il Piccolo Tommy" e si riferisce ai pedofili parlando di "Orchi", come se fossero delle creature di un altro mondo mentre putroppo sono dei criminali ben presenti e diffusi nella notra società. Queste, ho sempre pensato io, sono vere mancanze di rispetto verso tragedie che coinvolgono minori. Insomma, Broadchurch mi ha colpito moltissimo per il modo di trattare la vicenda, il modo in cui sono sviluppati i personaggi e si raccontano l'ipocrisia e la violenza verbale e psicologica che spesso si manifestano in comunità che, al principio, sembravano perfette. 

1

In the Flesh. Non è la solita storia di zombie. Questa perla di 3 episodi di BBC Three affronta il tema (trito e ritrito) degli zombie in modo del tutto originale e molto toccante. La serie comincia al termine di una apocalisse zombie, che è stata fermata, e si è trovata una cura per gli zombie, o meglio per una malattia che le autorità chiamano "Partially Deceased Syndrome". Il vero problema è reinserire gli (ex) zombie nella società, e in particolare a Roarton, piccolo paesino dove le milizie anti-zombie dettano legge. Sì, è una miniserie che parla di zombie, ma in realtà può parlare di qualsiasi contesto in cui la società si rifiuta di accettare chi è diverso, in cui anche la famiglia si vergogna dei suoi membri, in cui tra il pubblico e il privato c'è un solco enorme e soprattutto in cui accettare le cose e chiamarle col loro nome, per alcuni, è impossibile. Sono davvero contento che stiano realizzando la seconda stagione, che andrà in onda nel 2014. 

mercoledì 11 settembre 2013

Primer día de clase





Una settimana fa ho iniziato il mio terzo anno a Valencia (terzo anno. TERZO. La vecchiaia avanza) e lunedì, l'altroieri, è ufficialmente iniziato l'anno accademico.

Tuttavia, la prima lezione io l'ho data ieri e, come ogni semestre, ero anche un filino emozionato all'idea di iniziare il corso. Nonostante l'orario sfigato (la lezione inizia alle 19.30, ed è l'ultima della giornata, per cui l'aula sembra il set di The Walking Dead) , io sono partito abbastanza energico e contento.

Nonostante le mie buone intenzioni, però quando ho cercato di accendere il proiettore, non andava.
"Credo sia rotto, ieri durante la lezione ha improvvisamente smesso di funzionare" è intervenuto un alunno dalla prima fila.
"Ah. Mi è successa la stessa cosa nella prima lezione dello scorso anno. Dev'essere destino" ho risposto io, cercando di fare il simpatico.
"..." hanno risposto gli studenti.

E così, con l'interfono, ho chiamato la portineria chiedendo se poteva salire qualcuno a sistemare il proiettore. Dopo due minuti, la signora venuta dalla portineria ha constatato che non c'era nulla da fare e ci ha chiesto di spostarci in un'altra aula, allo stesso piano, dove un suo collega sarebbe passato a breve ad aprire la porta, qualora fosse chiusa a chiave.

Ho guidato la transumanza degli studenti - ma secondo me nel frattempo ne ho perso qualcuno - e, arrivato alla porta, ho visto che era chiusa a chiave. "Si, ho provato anch'io, è chiusa" mi ha detto uno studente olandese che avevo anche lo scorso anno, in un altro corso.

Dopo quasi dieci minuti di attesa e nessuno all'orizzonte, ho spedito l'olandese al piano terra a chiedere la chiave dell'aula, ma, al suo ritorno, mi ha detto "mi hanno detto che la chiave dell'armadietto (del computer) che hai va bene". "No, non va assolutamente bene", ho risposto piccato. "So com'è fatta quella chiave, e questa è diversa", e ho inutilmente infilato la chiave nella toppa per dimostrarlo.

A quel punto ho deciso di scendere giù, sempre più innervosito, e, arrivato in portineria, ho detto:

"Mi serve la chiave dell'aula. Questa (agitando la chiave dell'armadietto) non è la chiave dell'aula".
"Ma se vengo proprio da lì, ho appena aperto!" ha sbottato uno degli uomini della portineria.
"Senta, non è possibile, vengo da lì e non è passato nessuno."
"Le giuro che sono salito nonappena la mia collega ha chiamato all'interfono per dire che vi serviva una nuova aula"
"E io le giuro che la porta è chiusa"
"Saliamo insieme. Io non mento! È una questione d'onore"
"Io nemmeno mento! - ho ribattuto - Magari la porta era aperta e tu l'hai chiusa"
"..."

Saliti su, siamo andati alla porta, circondati dalla cinquantina di studenti del corso, lui, ha cercato di aprire e la porta non andava. "Ha visto?", sono intervenuto subito. Lui ha dato uno strattone più forte e la porta si è aperta. "Ha visto? Basta un pochino di forza" mi ha detto orgoglioso e soddisfatto, mentre io sprofondavo nello squallore e uno studente cercava di tirarmi su di morale dicendo che anche a lui sembrava chiusa a chiave.

Siamo entrati dentro, ma sarà difficile riconquistare il rispetto perso nel giro di mezz'ora.

Un ottimo inizio d'anno accademico.


mercoledì 31 luglio 2013

Non aprite quella porta


Le ferie sono alle porte ed io, ovviamente, sono indietro con il lavoro. Tutto ciò che pensavo di terminare prima di andare in ferie è più o meno a metà, per cui probabilmente mi toccherà lavorare un po' anche nei primi giorni di vacanza.

Anche per questo motivo, lunedì, ho lavorato fino alle otto di sera, nonostante mi fossi ripromesso, per l'ultima settimana, di uscire prima, anche per fare un salto in spiaggia. Tornato a casa stanco, mi sono fiondato in doccia. Mentre mi sciacquavo, togliendomi di dosso i grani del mio docciaschiuma massage non so che che sembra come insaponarsi con la sabbia, ho sentito dei rumori venire dalla porta di casa.

Devo premettere che il condominio in cui vivo, pur essendo nuovo, è fatto coi piedi, per cui si sentono tutti i rumori del mondo dal pianerottolo, in particolare quando i vicini aprono e chiudono la loro porta di casa.
E così, non ci ho fatto molto caso, pensando che fossero loro che rientravano, ma all'improvviso mi sono accorto che era la mia porta di casa quella che si stava aprendo.

Ho chiuso il rubinetto della doccia ed ho aperto gli sportelli, con uno sguardo attonito e incerto, quando ho iniziato a sentire le voci. No, non parlo di voci nella mia testa, bensì voci di persone che si apprestavano a entrare in casa mia.

Terrorizzato, ho urlato:
"Chi è?"
"Sono Enrique, dell'agenzia immobiliaria"

Macheccazzo, ho pensato. Gli ho urlato di aspettare alla porta perché stavo uscendo dalla doccia e di non entrare, mentre mi asciugavo affannosamente e approssimativamente col mio accappatoio.

Sono uscito dal bagno, ancora mezzo bagnato, scalzo e soprattutto spaventato a morte e mi sono trovato nell'ingresso di casa il giovane Enrique con un ragazzo e una ragazza (che poi avrei scoperto essere americani, o qualcosa del genere, per il loro accento).

"Che cosa ci fate qui? Questa è casa mia" ho detto con tono nervoso e agitato.
"Sono venuto a mostrare l'appartamento ai ragazzi", mi ha risposto placidamente Enrique.
"Senta, io vivo qui da un anno e non mi risulta che sto per lasciare questa casa, ma chi vi ha dato le chiavi?"
Nel frattempo i due ragazzi hanno cominciato ad assumere un atteggiamento fastidiosamente divertito, della serie "Oh my gosh we're in a fucking Almodovarian scene" e il ragazzo non ha trovato niente di meglio che intervenire:

"Piacere, siamo i nuovi inquilini!"

Gli ho risposto con un sorriso così falso che trasudava odio, e mi sono rivolto di nuovo a Enrique:

"Ma poi come vi salta in mente entrare in casa della gente senza nemmeno suonare?"
"Io non avevo idea che ci fosse qualcuno", si è difeso, "mi hanno dato le chiavi in agenzia, guardi, ho anche la scheda dell'appartamento, questa è la mia agenzia". "Oh my god" ha sottolineato la ragazza.
"Senta io non so e non mi interessa di che agenzia siate ma non permettetevi più di entrare in questa casa", ho ripetuto, mentre la rabbia mi montava dentro.
"Forse dovresti parlare con la tua proprietaria", mi ha sfidato Enrique.
"Sì, ma anche tu col tuo capo. Ti rendi conto di che significa stare sotto la doccia e trovarsi gente in casa?". Ho cercato di trasmettergli la sensazione di Marion Crane Vs. Norman Bates che avevo provato pochi minuti prima, ma credo sia stato inutile.

Un po' di scuse, e i tre se ne sono andati, e percepivo che ai due non più potenziali acquirenti rideva anche il culo per quello che era appena successo.

Un unico sollievo: sarebbe potuta andare peggio.

venerdì 19 luglio 2013

Italiani pizza e mafia

Un po' di giorni fa sono andato a fare aperitivo con un mio amico e, sulla via del ritorno, abbiamo deciso di prendere una pizza in una pizzeria da asporto sotto casa sua e mangiarla da lui.

La pizzeria è di proprietà di un signore italiano, vicino Calle Sagunto, e, per i miei gusti, fa una delle pizze più buone che si possano mangiare a Valencia. Nonostante ciò, è quasi sempre vuota, e a dire il vero diverse volte ci siamo chiesti come faccia a restare aperta e/o quando entrerà nella lista dei locali che chiudono i battenti, anche dato che la congiuntura economica non aiuta.

Ad ogni modo, siamo entrati, abbiamo chiesto una pizza familiar, cioè delle dimensioni di due pizze, da dividere, e, mentre uscivamo all'esterno in attesa che la preparasse, lui ha consegnato una pizza a una ragazza e un ragazzo che erano lì prima di noi.

- Ma io avevo chiesto una familiar, questa è una mediana! - ha sbottato la ragazza.
- Tu mi hai chiesto una mediana... - ha risposto, un po' scazzato, il pizzaiolo.
- No no, sei tu che me l'hai voluta fare così.
- Ma ti pare che ti faccio una pizza più piccola, che ci guadagno pure di meno? - il pizzaiolo iniziava ad alberarsi - se vuoi te la rifaccio.
- No no, lasciamo stare - ha concluso, lamentandosi, la ragazza, che chiamerò Encarnación, e poi ha detto al ragazzo "Te l'avevo detto che non dovevamo venire qui. Questo qui è uno stronzo".

Dopo due o tre minuti, mentre io e il mio amico eravamo sulla porta a fumare una sigaretta, è arrivato un uomo di mezza età, in bermuda e ciabatte, sbraitando contro il pizzaiolo:
- Tu hai mancato di rispetto a mia figlia!!!
- ...
- Sì, le hai fatto una pizza più piccola per dispetto!
Il pizzaiolo cercava di spiegare, ma l'uomo rincarò la dose:
- Se non hai capito tu, è un tuo problema, c'è la barriera linguistica! Ma lei ha chiesto una familiar e tu le hai mancato di rispetto!

Eh no, il tasto linguistico non l'avrebbe dovuto toccare. Il pizzaiolo iniziò a rispondere male, e l'uomo ha sbottato:
- Vedrai come tutto il quartiere saprà come sei maleducato! Nessuno più verrà a prendere la pizza da te!

A quel punto il pizzaiolo ha tirato in ballo me e L.: "Allora, questi ragazzi erano qui. Ho mancato di rispetto ad Encarnación?". Io e L. abbiamo risposto di no, che non sappiamo cosa lei avesse chiesto ma lui era stato educato.

- Sei un maleducato e per questo non viene nessuno in questa pizzeria! - continuava il padre di Encarnación. A quel punto il pizzaiolo è esploso, e ha iniziato a inveire in un miscuglio 80% italiano/napoletano e 20% spagnolo (nota: in corsivo le frasi così come le ha pronunciate, cioè non tradotte):

- Ma guarda a ssu mafioso!!! Mafioso sei! Queste minacce le fanno i mafiosi!
- Eh no eh, proprio tu non dai del mafioso a me! Comunque hai perso un cliente, e molti di più! - ha risposto sbraitando il padre di Encarnación, lasciando il locale.

Dopo due minuti di orologio, è rientrato con un uomo di mezza età, notevole pancia da bevitore e una maglietta dei Ramones nera:

- Adesso anche lui sarà testimone di come sei violento!
- Ma quann te ne vai da ccà! Fuori! Questa è la mia pizzeria!
- Parla in spagnolo! Siamo in Spagna, non in Italia!
- Ma vaffangul va! Vaffanculo, 'o capisc' quess?
- Non capisco che dici parla spagnolo, spagnolo!

Io e L. ci guardavamo esterrefatti. Io ho detto a bassa voce "comincio a capire perché non ha clienti... deve essersi inimicato tutto il barrio". 
Nel frattempo, era entrato il ragazzo di Encarnación e si era fermata un'auto lì davanti. Lo spettacolo faceva proseliti, ma non era finita qui:
- E non farmi quel gesto che fate sempre voi italiani eh!
- Ma che ccazz stai a dire!
- Parla spagnolo e non farmi questo gesto! - e ha mimato, con entambi le mani, questo:

Eh no, questo era troppo. A quel punto mi sono messo in mezzo. Io. In mezzo.

- Senta, io sono italiano e non faccio mai quel gesto lì eh
- Ma perché non è vero che voi fate sempre così? - e agitava le mani, irritandomi come un'ortica.
- No.

- A ssu mafioso che minaccia nella mia pizzeria! Vattinne! 
- Non finisce qua eh! Tutto il quartiere saprà quanto sei maleducato!
- E tu sei un mafioso!  A ssu mafios' 'e mmerd!

E mentre il padre e il fidanzato di Encarnación uscivano dalla pizzeria col loro amico Ramones, il pizzaiolo è andato a prendere la nostra pizza e ce l'ha consegnata, cambiando immediatamente personalità.

- Sono 12 euro ragazzi, grazie.

giovedì 11 aprile 2013

Chúpate la mandarina, Manola

Da quando vivo nel nuovo appartamento di Calle Peris Mencheta mi sono deciso a fare più vida de barrio, anche se il barrio, il quartiere, non si è ancora accorto della mia esistenza.
Come se non bastasse, pur non essendo un no global di quelli che non si perdono un G8, ho iniziato a preferire fare la spesa nella piccola piuttosto che nella grande distribuzione, un po' per non dare i soldi a Mercadona e al suo super boss Juan Roig, un po' perché la qualità è decisamente migliore, e infine perché mi sono accorto che finisco addirittura per risparmiare.

E così, per esempio, compro le arance da una coppia di anziani che vendono quelle della loro terra quasi sotto casa mia, e compro la verdura e i salumi in un piccolo negozio tenuto da una coppia di mezza età in Calle Utiel.

Nel negozio, per quanto piccolo, ci sono tre sedie al centro: una per l'anziano padre della proprietaria (che credo si chiami Carmen), il quale controlla i passanti sempre con uno stuzzicadente in bocca, e due per clienti chiacchieroni che decidono di fare una sosta nel legozio. In pratica il negozio è così:

Il giorno del sabato santo sono andato a fare la spesa e il negozio era affollato in modo inusuale. Entrambe le sedie erano occupate da delle anziane, che si intrattenevano in conversazioni (a tratti in valenciano, a tratti in spagnolo) e pettegolezzi con altre tre signore che erano lì in piedi.
Già ero in attesa da una decina di minuti quando iniziai ad ascoltare quello che dicevano i presenti:

Signora n.1: "Insomma non ci vado molto d'accordo"
Signora n.2: "Nemmeno io eh, e durante le feste è peggio"
Signora n.1: "Ma sai cosa mi ha detto mia suocera una volta? Io le stavo dicendo che avevo preparato un piatto proprio come piace a suo marito e lei ha risposto: "Tu non conosci tuo suocero". Chúpate la mandarina, Manola.*"
Signora n.2: "Madre mia..."

Mentre io facevo il vago perché mi veniva da ridere, le signore si sono accorte di me e gli ho fatto pena:

"Povero ragazzo, noi qui a parlare e lui si deve sorbire i nostri discorsi"
"Non fa nulla, non preoccupatevi", ho risposto.
"Di dove sei? Non sei di qui.", mi ha apostrofato la Signora n.1. "Lasciami indovinare, sei inglese!" è intervenuta Carmen (?).
E così io ho spiegato che sono italiano, "aaaah" hanno sottolineato le altre clienti, mentre Carmen (?) ha detto che era sorpresa, dato il mio accento.
Finito questo siparietto, la Signora n.3 aveva finito di farsi servire e stava per appropinquarsi all'uscita, quando è stata fermata dalla Signora n.2:
"Concha! Aspetta, devo ridarti i soldi della lotteria". Hanno fatto i conti, e poi Concha se n'è andata.
Dopo un'altra decina di minuti finalmente fu il mio turno, e il marito di Carmen (?) si è rivolto a me:

"Allora: è più buono qui o in Italia il prosciutto?"


*Traduzione letterale: "Succhiati il mandarino, Emanuela". Traduzione libera: "Beccati questa". 

giovedì 14 marzo 2013

Bilbao bidaiatzea

(www.guia-bilbao.com)

Domani parto per Bilbao. Era da tanto tempo che aspettavo di andare in Euskadi e finalmente ho deciso di approfittare delle vacanze delle Fallas per fare una capatina nella sua capitale, tanto per cominciare, e soprattutto per fuggire all'invasione aliena che colpirà Valencia proprio in quei giorni a suon di petardi.

Poiché ho le pezze al culo (è inutile negarlo, o tentare di dissimulare perché pare brutto dichiarare la propria povertà: non ho i soldi per fare un segno al muro) sarà un viaggio low cost, andata e ritorno in autobus per ben 8 ore a tratta e alloggiamento gratis trovato grazie a Couchsurfing.

Ma la cosa più importante è che i Paesi Baschi, Euskadi appunto, hanno sempre avuto su di me un grande fascino, per le immagini che ho visto, per la loro storia ma soprattutto per le sciocchezze campate in aria che si sentono in giro.

Ed ecco a voi una lista di luoghi comuni e domande ignoranti su Bilbao e i Paesi Baschi, che potete usare  per essere odiati quando andrete lì:

1. Ma per entrare nei Paesi Baschi dalla Spagna si deve passare la frontiera?
2. I baschi sono tutti terroristi.
3. I baschi indossano sempre il basco.
4. I baschi giocano tutti alla Palla Basca.
5. Nei Paesi Baschi non si usa l'euro.
6. Se parli castigliano nei Paesi Baschi puoi essere ucciso.
7. Paesi Baschi? Vuoi dire Paesi Bassi.
8. I Paesi Baschi in Spagna sono come la Padania in Italia.
9. La capitale dei Paesi Baschi è L'Aja.
10. Secondo me la lingua basca non esiste, sono lettere scritte a caso.

Ad ogni modo, se invece non volete farvi odiare e volete essere dei veri alternativi, prima di andare in Euskadi imparate a memoria le versione sperimentale della Macarena in Basco (ringrazio il blog della mia amica A. per avermi regalato questa perla):



Agur!

Nota: il titolo significa "Viaggiando a Bilbao" e l'ho tradotto con Google translate dallo spagnolo, quindi se è sbagliato non è colpa mia.

giovedì 7 marzo 2013

Fallas: il Diccionà

In contemporanea con le dimissioni del Papa e con il cataclisma elettorale che si è abbattuto sull'Italia, a Valencia sono iniziate le Fallas.

Ho già spiegato, per chi non ne sapesse nulla, di cosa si tratta, anche se trovare una definizione chiara e concisa è difficile. Soprattutto perché le Fallas riuniscono tutta una serie di eventi ed attività che, per capirci qualcosa, servirebbe un'enciclopedia o un diziona... ECCO! Ho trovato l'idea per un nuovo ppost per questo blog muto da quasi un mese: il dizionario delle Fallas.

Per qualche strana ragione, gran parte dei termini legati alle fallas sono parole tronche che terminano per "à".

Apuntà. (In italiano: Iscrizione) Si svolge a maggio dell'anno precedente alle fallas considerate ed è un'occasione per conoscere la gente dei Casales Falleros ed, eventualmente, iscriversi alla Falla, o iscrivere i propri figli: insomma: assicurarsi che, l'anno che viene, non si sarà tra quelli che si lamentano per le strade chiuse, bensì quelli che hanno la festa assicurata sotto casa. Non so esattamente cosa si faccia nell'apuntà, ma un evento che ho visto su Facebook, e la foto di descrizione, fanno sorgere qualche dubbio. 

Arreplegà. (In italiano: Crowdfunding) I falleros raccolgono denaro per finanziare le attività della loro Falla nei giorni di festa andando casa per casa nel quartiere a chiedere un contributo a chi vive nel barrio. Di una cosa credo si possa star certi: se non contribuisci, puoi scordarti che ti invitino per un piatto di paella.

Cremà. (In italiano: il rogo) L'atto conclusivo delle Fallas, con cui si dà fuoco alle strutture di cartapesta e poliuretano realizzate dai Casals, e che tanto mi fanno pensare al carnevale di Viareggio. Con un po' di benzina si riducono in cenere strutture alte anche decine di metri, mentre cadono scintille che ti lasciano buchi sulla giacca.

Cridà. (In italiano: Quando Rita Barberà e la Fallera Mayor aprono le danze) Oggi chiamata Crida, per un cambio di denominazione avvenuto nel 1978, è l'atto che apre le Fallas, l'ultima domenica di febbraio. Alle Torri di Serrano, la sindaca-monarca Rita Barberà saluta i cittadini con la sua dolce vocina al grido di "Valencianoooos!" e la Fallera Mayor a.k.a. Miss Valencia a.k.a. la Principessa Leila dichiara l'inizio delle feste.

Despertà. (In italiano: svegliaaaaaa!) In fallas non è permesso dormire. Per questo, nei giorni clou della festa (dal 15 al 19 marzo) le falleras, accompagnate da una banda, passano per le strade del Barrio e per i negozi a partire dalle 8 di mattina. Con questa musica, si svegliano i vicini che erano andati a dormire alle 4 o alle 5 di mattina, ubriachi, e inizia un nuovo giorno.

Disparà. (In italiano: sparata) Sinonimo di mascletà.

Mascletà. (In italiano: Valencia come Baghdad) Dal 1 al 19 marzo, tutti i giorni alle 14, vengono sparati fuochi d'artificio nella Plaza del Ayuntamiento. Prima di assistere alle mie prime Fallas pensavo che fosse una cosa totalmente priva di senso, ma in realtà dopo avervi assistito lo scorso anno devo dire che è l'atto delle fallas che mi piace di più. Mentre Plaza del Ayuntamiento viene inondata dal fumo e dall'odore della polvere da sparo, i botti scoppiano in un crescendo che esplode in un orgasmico applauso da parte della folla, sempre moltitudinaria. Segue: birra nel Carmen.

Plantà. (In italiano: il momento in cui si montano le Fallas e si piazzano in mezzo alla strada). Il clou delle Fallas è dal 15 al 19 marzo. La notte tra il 15 e il 16 marzo vengono montate le fallas, almeno in teoria, perché in realtà già si possono trovare, in molti casi, dalla notte precedente. In queste notti, a volte, qualche Casal sfortunato (o avanguardista, visto che anticipa ciò che accade pochi giorni dopo) finisce per dar fuoco per sbaglio alla sua falla.

Xocolatà. (Pronuncia: ciocolatà. In italiano: cioccolata a volontà) A quanto mi è stato detto, le fallas di quartiere erano solite offrire cioccolata ai falleros, cioè ai membri dei Casals.

(NOTA: ci sono altri atti nelle Fallas, ad esempio la Ofrenda, ma sono un po' noiosi e poi non finiscono per à, quindi non mi interessano: li ho cancellà.)


lunedì 11 febbraio 2013

Soy un actor



Venerdì ero così stanco dopo una settimana di lavoro che l'unica cosa che mi andava di fare era rimanere a casa guardando qualche episodio di Revenge e andare a letto presto, alla faccia della vita sociale. E invece, alle 23.15, ho ricevuto un messaggio su Whatsapp (nuova frontiera dello sputtanamento dei segreti di MJ) da qualcuno che già sapeva che non sono lei.
Per chi fosse fermo alla vita pre-smartphones, su whatsapp è possibile inserire una foto e un nome profilo. Per questo, quando qualcuno ti invia un messaggio, puoi leggere il suo nome (o nickname) anche non tenendo il numero in rubrica.

Ho cercato su google il nome che mi era apparso, e il primo risultato era il profilo LinkedIn del diretto interessato, sul quale c'era scritto che era un produttore televisivo per una società dal nome sconosciuto.

Invece di liquidarlo, ho deciso di cogliere la palla al balzo e fare lo gnorri.

- Qui mi dice che questo non è più il numero di Maria José...
- Beh no... però molta gente mi scrive cercandola...
- ahahahah certoooooo... è che aveva un incarico per il quale la si chiamava molto! Scusa!
- Non importa! Un incarico? Caspita... beh ora capisco perché e arrivavano tutte queste chiamate e messaggi.
- È stata assessore, tra le altre cose... Il fatto è che vedendo la tua foto profilo mi sono detto "o è un fidanzato o un figlio!"
"Fidanzato o figlio?", ho pensato. "Ma Maria José non è sposata? Il marito di Victoria le aveva scritto un sms chiedendole del marito..."
- Hahaha in realtà nessuno dei due... nemmeno la conosco...
- Ovvio! Beh lo immagino, lei, o meglio noi, siamo in Estremadura
- Già lo so, grazie ai messaggi ricevuti! Io a Valencia
- Cazzo! Dalla parte opposta! Non starai vicino a Vinaroz?
- No no, sono a Valencia Capital. Perché?
- Ho degli amici lì...
- Ah che coincidenza! Comunque io mi chiamo Gaetano.
... E lui si è presentato e a quel punto l'ho cercato di nuovo su google.

Cercando meglio, ho così scoperto che più che un produttore, si trattava di un attore di teatro. E siccome una storia pseudo-almodovariana come questa non poteva prescindere dal mondo delle drag queen, ho trovato un video su youtube di lui che faceva uno spettacolo en travesti.
Non solo: c'era anche il suo oroscopo su un giornale locale, dove non ho potuto non leggere:

"Gemelli. C'è solo una cosa più insipida di te nella nostra città: la Plaza Mayor".

A quel punto lo odiavo, ma ho continuato la conversazione. Scoprendo che era stato anni fa a fare spettacoli a Valencia, che bella città e quante opportunità, non come l'Estremadura eccetera.

Ma sono tornato presto all'argomento clou, chiedendogli se, secondo lui, Maria José sa della mia esistenza.

- Beh lo immagino - mi ha risposto - ma non è un problema. Solo devo chiedere a qualche amico il suo nuovo numero. Anche gli altri faranno così.
- Già, hai ragione...
- Comunque lei ha lasciato la prima linea della politica... E meglio per te, essere un politico è un casino...
- Già.. mi dispiace
- E di che? Sicuramente lei sta divinamente! Quello che rimane fregato sono io!
- E perché fregato?
- È un modo di dire! Lei comunque ora è ben piazzata, mentre noi dobbiamo lottare con altri politici per continuare a lavorare... É che la politica e la cultura, in Estremadura, vanno mano nella mano...

A quel punto mi ha mandato - non richiesta - una sua foto. "Scusa se ti mando la foto" si è giustificato, "è che non mi piace scrivere con gente senza sapere che faccia hanno e stavolta proprio io sono quello senza foto.

Io sono rimasto un po' interdetto. Dopo un paio di battute su Rita Barberá, la sindaco-monarca di Valencia, la conversazione è finita.

Ma credo che ora ho una nuova fonte per le mie ricerche.


lunedì 4 febbraio 2013

Secretos y Mentiras

Erano diversi mesi che non avevo notizie di Maria José . Niente inviti ad aperitivi, né catene per partecipare a manifestazioi di protesta sotto la sede del PP, niente di niente.
All'improvviso, questo fine settimana tutti l'hanno cercata.



Giovedì

Stavo giusto per finire di lavorare, quando ho ricevuto il seguente messaggio su Whatsapp:

"Che buona amica che sei... Stamattina con quello che mi hai inviato
quasi mi uscivano le lacrime. Sono abbastanza giù di corda, però passerà.
Domani devo parlare con un certo XXXXX, ma già ho detto a Carmen
che conto più su di voi che su questi imbecilli (*).
Ci aggiorniamo, bonita".

Se da un lato ho pensato "che brava persona che è Maria José", dall'altro questo messaggio mi ha un po' angosciato: come scrivere ad una persona che ti ha appena scritto qualcosa di così personale "scusa, hai sbagliato numero?". Però alla fine l'ho fatto. Senza ricevere risposta.

Venerdì

(chiamata ricevuta da un numero che finiva per 33)

"Sì?"
"..."
"..."
"Ehm... Maria José?
"No... ha sbagliato numero..." ho risposto, ma non volevo limitarmi alla solita tiritera: "...Io ricevo continuamente messaggi per Maria José, credo avesse questo numero prima di me. Se riesce a contattarla glielo può dire?"
"..."
" : ) "
"Ok, ciao"
"Ciao"

Sabato

(chiamata ricevuta da un numero che finiva per 39)

"Sì?"
"Maria José?"
"No... ha sbagliato numero..."
"Un attimo... non hai nulla a che vedere con Bernardo, quindi?"
"..."
"..."
"No... ma Magari Maria José sì"
"..."
"Arrivederci"

(chiamata ricevuta da un numero che finiva per 11)

"Sì?"
"Ehm... sei Maria José"
"No... ha sbagliato numero... ma mi chiamano di continuo cercandola (...)" e giù con la solita tiritera.
"Cazzo... E ora come la trovo?"
"..."
"Grazie"

Domenica

A questo punto mancava solo la comunicazione via SMS: e così, da un numero che finiva per 82, ho ricevuto il seguente messaggio:

"Tu marido, bien"

che non sapevo come interpretare. Era una domanda? Tipo "tuo marito, sta bene?" O un'affermazione, tipo "tuo marito sta bene" ? o un commento infastidito della serie "Ah, quindi è tuo marito, bene." Non sapevo cosa fare e così ho risposto facendo lo gnorri:

"Scusa, non ho questo numero registrato, chi sei?"

E lui ha risposto:

"Il tuo vicino, il marito di Victoria".

Io gli ho risposto che aveva sbagliato numero, e lui è sparito.

Ora, non capisco: perché uno manda un sms a MJ e poi non si chiama nemmeno per nome? Che rapporto c'è tra MJ e il suo vicino?

venerdì 1 febbraio 2013

Arroz al Horno

L'unico piatto valenciano che ho imparato da solo a fare - e che, dal basso della mia non-valenzianità, mi sembra mi venga anche bene - è il riso al forno. Ma non per questo non ho combinato guai.

Ingredienti (per 4 persone: io, però, l'ho mangiato da solo, in 2 volte):
300 grammi di riso, quello tondo
200 grammi di costolette di maiale
150-200 gr di pancetta (di quella spessa, non il salume eh)
8 cucchiai d'olio
200 grammi di ceci (quelli in barattolo già cotti)
7-8 spicchi d'aglio
1 pomodoro grande
1 patata grande
700 ml di brodo di carne
Una bustina di colorante alimentare o zafferano
2 salsicce di morcilla

Innanzitutto: che minchia è la morcilla? La traduzione all'italiano sarebbe sanguinaccio. Ora, non fate le facce disgustate perché io sono più schizzinoso di tutti voi messi insieme, non so se davvero siano la stessa cosa, ma vi garantisco che, contro ogni mia aspettativa, la morcilla è buonissima. E ho provato a fare l'arroz al horno, quando ero dai miei, senza morcilla (sostituita con una salsiccia) ma perde tantissimo. Quindi, se non la potete trovare perché non siete in Spagna, vi attaccate al tram.

Per prima cosa tagliare a fette la patata e il pomodoro e accendere il forno a 200 ºC. Mettere l'olio in un tegame di terracotta, mettere a fuoco medio sui fornelli e aggiungere la patata, l'aglio (in camicia) e la carne, lasciandoli cucinare per un po'.

A quel punto, se siete sfigati come me, senza che voi ve ne accorgiate, il tegame di terracotta si spaccherà in due, facendo colare l'olio sul fornello di vetroceramica e invadendo la casa di un puzzo di bruciato. Per evitare di perdere tutto vi precipiterete al negozio cinese di Calle Vicent Zaragozá, "La Tienda del Barrio", comprerete un altro tegame e vi riprecipiterete a casa, dove metterete il contenuto del primo tegame in quello nuovo.

Se non siete sfigati come me, potete trascurare il paragrafo di cui sopra.

Dopo aver cotto le cose di cui sopra x 7-8 minuti, aggiungere le fette di pomodoro (basta dagli due volte, pochi secondi in tutto) e togliere tutto dal tegame, lasciando solo l'olio. In quell'olio, aggiungere il riso, con un poco di brodo (insomma va fatto cuocere sulla fiamma per un po') e, dopo 3-4 minuti inserire, nell'ordine:

- il brodo (se vi rompe i coglioni cucinarlo, come a me, comprate quello in brick al discount. Si algún valenciano acaba de leer esta frase, pues haga como si no la hubiese leído)
- il colorante
- la carne & l'aglio
- i ceci
- le fette di patata
- il pomodoro

... e mettete con cautela il tegame nel forno. Un po' di brodo vi cadrà a terra facendovi bestemmiare e macchiando il pavimento.

Lasciate in forno senza toccare per 30 minuti. Se siete stati bravi il riso si cuocerà bene, il brodo evaporerà e sarete felici e contenti. Il mio primo arroz al horno era così:




lunedì 21 gennaio 2013

Una settimana d'addio (II parte)

(continua da qui )



L'ultima settimana in palestra

Prima di tornare in Italia per le vacanze di Natale, quando ancora mi illudevo che i Maya avrebbero fatto il loro dovere il 21 dicembre, ero un po' con la testa tra le nuvole, e ho visto bene di lasciare un bel ricordo in palestra, dove già in precedenza mi ero fatto riconoscere.

Una mattina come tante, mentre mi preparavo per andare a lavoro, preparando la borsa per la palestra mi sono accorto che le mie scarpe da tennis erano scomparse. Non erano da nessuna parte. C'era un'unica spiegazione: le avevo lasciate in palestra il giorno prima.

Con la coda tra le gambe, prima di andare in ufficio sono passato in palestra nella speranza che le avessero ritrovate, ed ho parlato con la receptionist:

"Salve, ho lasciato ehm un paio di scarpe ieri..."
"Ah sì!" ha risposto lei, illuminandosi, per poi passare in modalità agente di polizia: "Che modello erano?"
"..."
"..."
"Beh sono bianche con un po' di rosso e di nero..."
"Hombre, hai appena descritto quasi tutte le scarpe da tennis" mi ha deriso lei.
"..."
"Almeno la marca?"
"Ehm credo siano Reebok... Ma quanta gente avrà lasciato delle scarpe?" ho risposto con un tono ironico ma non troppo, per ridicolizzare il suo atteggiamento poliziesco.
Lei si è messa a ridere, mi ha consegnato le mie scarpe (che, verificai, sono Reebok, bianche con un po' di rosso e di nero) e io me ne andai tutto contento e fiero del fatto che in pausa pranzo sarei potuto andarci.

Il giorno seguente, sempre ad ora di pranzo, ci sono tornato. Ho fatto esercizio, mi sono fatto la doccia e, dato che stavo morendo di fame, ho deciso di fermarmi a mangiare nel bar della palestra.
Avevo appena ordinato un'insalata mista e il pollo alla piastra quando è squillato il cellulare di un ragazzo che era a mangiare lì e, prima, era in sala pesi con me.

"Ah, sì, aspetta un attimo" ha detto al telefono. Poi, girandosi verso di me, che ero due tavoli più in là, mi ha detto: "sei tu che hai lasciato un orologio negli spogliatoi?"

Trascurando il fatto che uno sconosciuto si sia rivolto non a tutti i presenti, ma esattamente a me nel momento in cui ha appurato il fatto, io mi sono toccato il polso e ho realizzato di aver davvero dimenticato l'orologio.

"Oddio, sì!" ho risposto, trasecolando.
"Passa in reception che te lo ridanno", mi ha risposto, "sei stato fortunato eh..."
"..."

Mi sono alzato, sono andato in reception e c'era la stessa ragazza del giorno prima.

"Avete voi il mio orologio?" ho chiesto.
"Che marca?" mi ha interrogato lei, "questa volta la sai?" e si è messa a ridere.
"Emporio Armani", le ho risposto, con uno sguardo che diceva sì, la so, stronza.

Sono tornato a sedere al bar, sentendomi osservato, e ho mangiato in silenzio, pregando che i Maya anticipassero di qualche giorno i loro programmi. E loro, di tutta risposta, li hanno annullati.