domenica 23 settembre 2012

El periquito


La mia opinione in merito al fatto di vivere con altre persone è ormai netta: non ho più l'età. Per quanto abbia dei bellissimi ricordi degli anni passati condividendo l'appartamento negli anni passati a Bologna, aver vissuto da solo nell'ultimo anno e mezzo mi ha fatto apprezzare le gioie della solitudine abitativa ed ero convinto che non sarei potuto tornare indietro, salvo per periodi molto brevi per ospitare degli amici.

Tuttavia, come sempre, sono stato incoerente. E così, da giovedì, condivido l'appartamento con un pappagallo - per essere precisi, una cocorita.

Alcuni mesi fa un mio amico ha trovato questa cocorita sulla sua terrazza, giunta da chissà dove, e così si è procurato una gabbietta e l'ha tenuto un po' in casa, anche se controvoglia, anche perché il suo cane era gelosissimo. E così, mi sono proposto per offrirgli alloggio a casa mia.
Giovedì scorso mi ha portato il pappagallo, con tanto di gabbietta e cibo, l'ho collocato in soggiorno vicino alla finestra con vista su Peris Mencheta (cioè: con vista su un altro palazzo), abbiamo deciso all'unanimità e senza necessità di discutere che l'avrei chiamato Maria José, e poi siamo andati all'EnBabia a bere.

Fatto sta che proprio giovedì notte mi sono svegliato di soprassalto, forse a causa di un sogno che stavo facendo, e ho sentito dei rumori strani provenire dal soggiorno. Visto che è ancora estate, io dormo con la finestra aperta, anche se tenendo la serranda abbassata, e ho iniziato a temere che fossero entrati i ladri. Il rumore - una specie di strano fruscio - si è ripetuto, ed io ho iniziato ad avere paura.

A metà tra il terrore e l'eccitazione da oh-mio-dio-la-mia-vita-è-come-un-thriller, mi sono alzato dal letto e ho iniziato a percorrere il corridoio verso il soggiorno. Non sapevo cosa fare per far scappare i ladri, avevo le mani nude e ho pensato che un semplice colpo di tosse non sarebbe stato sufficiente a farli scappare. Anzi, magari mi avrebbero ucciso.

Il rumore si è ripetuto, io ero sull'orlo dell'infarto causa tachicardia, ho girato l'angolo del corridoio, ho acceso la luce e Maria José (il pappagallo) ha fatto un verso strano e poi ha svolazzato un po' nella gabbia, ripetendo il rumore che avevo sentito prima.

Altro che ladri. Avevo completamente dimenticato che avevo un pappagallo in casa.

martedì 18 settembre 2012

El Gran Café



"Allora ci vediamo al Gran Café, fa caldo. Ci vediamo alle sei, baci".

Io non avevo nessun appuntamento in nessun Gran Café (ma ce ne sarà poi uno a Valencia?), ma ho capito subito perché avevo ricevuto quel messaggio: era qualcuno che aveva appuntamento con Maria José. Ed infatti è bastata una ricerca su Google per scoprire che a Cáceres c'è un Gran Café. Bingo.

Invece di ignorare il messaggio, ho deciso che stavolta avrei fatto un passo avanti: non potevo pensare al fatto di sapere esattamente dove sarebbe stata lei oggi pomeriggio senza approfittare della situazione. Visto che l'opzione di andare a Cáceres per infiltrarmi al Gran Café era impraticabile, ho risposto al messaggio, facendo un po' lo gnorri, ma senza svelarmi troppo: se l'interlocutore avesse già scoperto che non ero Maria José avrebbe smesso di scrivere.

"Scusa ma non ho questo numero in rubrica, chi sei?"

E lei ha risposto, un po' piccata. Deve proprio avere un bel caratterino, la cara Roser: ve la ricordate?

"Beh salvalo, visto che mi hai dato appuntamento... Roser"

Tombola. Ora potevo giocare la mia partita:

"Mi spiace ma non ti conosco... Io sono Gaetano"

E lei, improvvisamente più affabile - o ricordando la nostra conversazione telefonica di qualche mese prima:

"Allora è evidente che mi sbaglio. Scusa"

Ma non me la sarei fatta scappare facilmente: 

"Non ti preoccupare. Cercavi una ragazza che si chiama Maria José? E' che ricevo molte chiamate e messaggi diretti a lei, e magari lei lo vuole sapere... Adios!"


E così lei ha risposto proprio quello che volevo leggere, anche se, purtroppo, senza dettagli:

"Grazie. Glielo dirò."

Bene, a questo punto Maria José sa della mia esistenza. Ieri, dopo essere tornato a casa, mentre guardavo Ugly Betty in TV attendevo con ansia una chiamata, un SMS, un whatsapp da parte sua così da porre la parola fine a questa ricerca interminabile, ma niente. E così, adesso sto pensando che avrei dovuto assumere un tono più drammatico. Ecco alcuni esempi di cose che avrei potuto dire:

Livello di Drammaticità 1: Basso / Commedia Romantica
"(...) Ho ricevuto messaggi e chiamate che sembravano importanti e non so come fare per contattarla"
Livello di Drammaticità 2: Medio / Drammatico
"(...) Ci sono alcune persone che la stanno cercando insistentemente e mi hanno chiesto come fare a rintracciarla"
Livello di Drammaticità 3: Alto / Thriller
"(...) Mi raccomando, diglielo, perché è da parecchio che cerco di contattarla per darle alcune informazioni"
Livello di Drammaticità 4: Molto Alto / Melodramma Napoletano
"(...) Tra le altre cose pare che dei documenti urgenti per lei siano pronti, e non vorrei fosse troppo tardi, per favore, fammi chiamare"

... eccetera. Ma niente da fare, non sono stato abbastanza lungimirante.
Adesso spetta a lei fare il primo passo.

mercoledì 12 settembre 2012

Comunitat Valenciana: hay de todo


Lo slogan che promuove il turismo nella Comunidad Valenciana è "Comunidad Valenciana. Te doy todo" e cioè "ti do tutto".

Ma è anche vero che nella Comunidad Valenciana (o País Valenciano, a seconda di quanto chi sta parlando si senta valenziano piuttosto che spagnolo) hay de todo, c'è di tutto. Per un italiano, per di più terrone come me, gli aspetti più bizzarri della regione di Valencia, risultato di un miscuglio molto originale di politica corrotta, speculazione edilizia, opportunismo e chi più ne ha più ne metta, non sono una grande sorpresa: dopotutto, se siamo tutti PIGS un motivo ci dovrà pur essere.

Lo scorso fine settimana sono arrivati a Valencia due amici che vivono a Toronto; sono rimasti da me per un paio di giorni e, mentre li aiutavo a organizzare i loro spostamenti successivi verso la straordinaria zona costiera di Denia e Javea, dove solitamente vanno a svernare i Valenciani di classe più alta, oltre ad un mare di tedeschi, ho riflettuto su quanto il País Valenciano sia anche una miniera di posti surreali.

A sud di Denia e Javea si può proseguire verso Benidorm, città che soffre di gigantismo cronico, sviluppata più in verticale che in orizzontale, con i suoi grattacieli a fare da contorno alla costa che la fanno sembrare un po' Miami, o meglio una Miami mal riuscita. A Benidorm c'è anche la celebre Terra Mitica, un parco divertimenti che doveva far piovere denaro sulla zona, ma che è tra le cause del tracollo finanziario di Bancaja (poi entrata in Bankia), la Caja de Ahorros della Comunitat che, spinta dai baroni politici locali del PP, ha finanziato il progetto.

Ma a Benidorm meglio non fermarsi: la Costa Blanca verso Alicante offre scenari molto più interessanti, ed è forse per questo che, insieme a Maiorca, è una sorta di protettorato tedesco.

In realtà, è nella sua parte settentrionale che il Pais Valenciano offre i migliori trionfi di stile. Dimenticate le scogliere di Denia e Javea; dimenticate la calma e il fascino dell'Albufera, la riserva naturale dove si mangia la paella migliore del mondo: lasciata la Capital, andate a nord, verso Castellón, città (e provincia) protettorato della famiglia Fabra che, manco fosse una dinastia di nobili, la amministra da... vabbè, da sempre.

(Nota di colore: prima dell'estate, Andrea Fabra, membro della stessa famiglia e attualmente deputato del Partido Popular, divenne nota perché in Parlamento, riferendosi a quelli che manifestavano per le strade contro le politiche di tagli dell'attuale governo, disse a gran voce: "che se ne vadano a fanculo!")

Quando, un paio di fine settimana fa, sono andato a trovare una mia amica a Castellón per andare al mare insieme, abbiamo avuto la malsana idea, dopo pranzo, di fare una gita freak. Proprio così: volevamo vedere uno di questi posti tanto venduti e svenduti al turismo, che la pubblicità promuove come un paradiso delle famiglie dove tutto è perfetto.

Abbiamo preso la macchina e siamo andati a Marina d'Or. Pardon: Marina d'Or Ciudad de Vacaciones.


Marina d'Or è una città finta, creata solo a fini turistici, nel pieno del delirio della bolla immobiliare spagnola. La quantità, impossibile da contare, di appartamenti a ridosso di una spiaggia strettissima - o divenuta tale perché sopra ci hanno costruito di tutto - si sviluppa attorno a strade e giardini dove tutto sembra (o è) finto. E' l'esempio più lampante dell'epoca della crescita spagnola drogata dal mattone, tanto che, quando io e A. eravamo lì, abbiamo decretato che l'inno ufficiale di Marina d'Or non poteva che essere Euphoria, la canzone che ha vinto Eurovision 2012, se non altro per il suo titolo:


Mentre passeggiavamo per le strade semideserte di questa pseudo-città, io e A. abbiamo avuto una conversazione 2.0 da veri giovani dell'epoca dei social network:
"Certo, questo è un posto dove bisognerebbe fare il check in", mi ha suggerito A.
"Ci stavo pensando", ho risposto divertito.
"..."
"... ma poi ho pensato che mi sarei vergonato di avere una cosa del genere sulla bacheca di Facebook"
"Ah in ogni caso non mi taggare!" mi ha intimato A., mettendo le mani avanti.
"Allora vedi che ti vergogni anche tu di essere qui?"

E così siamo risaliti sulla macchina - e alla radio in quel momento passavano proprio Euphoria - per tornare verso Castellon.

In realtà, avremmo voluto fare un'altra tappa, in un posto ancor più glamour: l' Aereoporto di Castellón.
L'Aereoporto di Castellon ha tutto ciò che un aereoporto dovrebbe avere: un sito internet con le previsioni del tempo, una statua bizzarra davanti all'ingresso, una pista d'atterraggio e dei guardiani.

Il piccolo problema è che non ci sono aerei. Fu inaugurato ad aprile del 2011, in pompa magna - e soprattutto in vista delle elezioni locali - pur non avendo l'autorizzazione per entrare in funzione. Consapevole della stranezza di tutto ciò, il presidente della Provincia, che appunto fa di cognome Fabra, dichiarò:

"Dicono che siamo pazzi ad inaugurare un aereoporto senza aerei, ma non hanno capito il nostro progetto: Questo non è un aereoporto per gli aerei, questo è un aereoporto per la gente!" e giù applausi scroscianti.

Fatto sta che AeroCas è così tanto per la gente e così poco per gli aerei che, mentre sono state organizzate visite guidate per i cittadini che volevano vederlo, da lì non è ancora partito un aereo, né ci è atterrato. E lo scorso anno ha chiuso il bilancio con un modico passivo di 9 milioni di euro.

Il problema è che, nel frattempo, le visite guidate sono finite e, dato che non è ancora in funzione, manca anche la segnaletica stradale per arrivarci. E' l'Area 51 della Comunidad Valenciana, e non è nemmeno così tanto vicino a Castellón, il che fomenta la domanda: a che cazzo serve? Su facebook un po' di gente lo ha capito, ma comunque io credo che non fosse necessario costruire un aeroporto a tal fine.

Ciò non toglie che può ancora essere la destinazione ideale della mia prossima gita freak.

lunedì 10 settembre 2012

Banda Sonora

Quando, un paio di settimane fa, una mia amica ha creato un divertentissimo blog su errori ed orrori della musica, ho cominciato a pensare a quanto, nel mio caso, io sia capace di associare periodi della mia vita, luoghi e persone ad essi collegati, ad un album, un artista o semplicemente a una playlist che girava in un determinato tempo sul mio iPod.

(Lo so, le due cose non c'entrano niente l'una con l'altra, ma io ho fatto davvero questo collegamento nella mia mente. Oddio, c'entrerebbero l'una con l'altra se la musica che io ascolto fosse horrorosa, ma vi garantisco che non è il caso).

Fatto sta che, nonostante io sia una persona perennemente distratta, che dopo aver stretto la mano con qualcuno che mi si sta presentando mi dimentico il suo nome in un batter d'occhio, che nonostante io mi dimentichi di date di compleanno, di prendere le chiavi prima di uscire, di pagare l'affitto il primo del mese e abbia una volta dimenticato il portafogli sul tetto della macchina, subito prima di metterla in moto e partire, dicevo, nonostante tutto ciò, ci sono alcune cose - tendenzialmente inutili - che non riesco a cancellare, ma fortunatamente non si tratta sempre di cose negative.

Le canzoni (e i profumi indossati da certe persone) rientrano tra esse. Gli album "Parachutes" dei Coldplay e "The Man Who" dei Travis mi riportano al mio primo anno a Bologna. "Feast on Scraps" di Alanis Morissette all'inverno di Bloomington e alla strada percorsa sulla neve per tornare a casa ogni sera, spesso ubriaco. "Poses" di Rufus Wainwright la prima volta che mi sono innamorato davvero. "Transatlanticism" dei Death Cab for Cutie il tempo a Copenhagen

... e così via.

E quindi ecco a voi, anche se nessuno l'aveva chiesta, la mia personale colonna sonora che gira e rigira nel mio iPod e che, per gli anni a venire, identificherò con le strade, le persone, le piste ciclabili e le spiagge di Valencia:

1. The Rifles - Coming Home
2. Foreign Slippers - It all starts now
3. Florence and the Machine - All this and heaven too
4. Manel - El Miquel i l'Olga Tornen
5. Of Monsters and Men - Little Talks
6. Patrick Wolf - Time of Year
7. The Shins - The Rifle's Spiral
8. Arctic Monkeys - That's where you're wrong
9. Mishima - L'olor de la nit
10. The Antlers - I don't want love
11. Big Deal - Chair
12. Russian Red - I hate you but I love you
13. Lisa Hannigan - Knots
14. PJ Harvey - Long Snake Moan

martedì 4 settembre 2012

Uno



Il volo che mi portò da Francoforte a Valencia è stato uno dei pochi, nella mia vita, in cui tutto andò liscio: non ero arrivato all'ultimo minuto, non c'erano stati guasti né in volo né al decollo, non mi avevano rubato né avevo perso nulla, e questo già di per sé fu un evento.

Mi sono trasferito a Valencia il 4 settembre di un anno fa, e, dato che sono un fanatico delle ricorrenze, mi fa piacere avere questo blog che, da quasi altrettanto tempo, mi permette di conservare la memoria storica delle stronzate che faccio (voi direte: potresti limitarti a tenere un diario. Io rispondo: no, il diario è anni '90. E poi non soddisferebbe il mio esibizionismo).

Insomma, questo anno a Valencia è stato segnato da molti traguardi.

Appena trasferitomi a Valencia non sapevo una parola di spagnolo, tanto che anche chiedere dove erano i cavatappi al supermercato era un dramma. Poi, però, ho frequentato il corso di spagnolo e il problema è diventato meno serio. Ma se il problema della lingua, in parte, l'ho superato, il mio nome è un'onta che mi porterò sempre. Oramai mi sono abituato a che venga trascritto male, che quando chiamo qualche Servizio clienti devo fare lo spelling ricordando i riferimenti geografici:

La G de Granada
La A de Alicante
La E de Elche
La T de Teruel
La A de Alicante
La N de Navarra
La O de Oporto

e nonostante questo la persona che sta all'altro capo del telefono dirà:
"Muy bien Señor Geàtano" che va pronunciato aspirando la G come se fosse una H.
In quest'anno sono stato accompagnato dal fantasma di Maria José , andalusa trapiantata in Extremadura, attivista politica, conoscente di Ricardo, Bernardo, Viki, Roser, Lisa e Antonio, che aveva il mio numero di telefono prima che mi fosse assegnato e ancora viene cercata disperatamente.

Sono sopravvissuto alle Fallas, anche se mi ci sono voluti 8 giorni a riprendermi dal frastuono, e ad un condominio piuttosto originale tra indipendentisti baschi, anziani scontrosi, signore che alzavano troppo il gomito, omonimi del Re di Spagna, e aperitivi in casa dei condomini. Mi sono  chiuso fuori casa e ho accolto viaggianti backpackers. Ho redarguito passanti che perdevano preservativi , tagliato i capelli rischiando la morte e sfanculato agenti immobiliari stronze.

Insomma non mi sono annoiato, e scrivo questo nuovo post un po' divertito, un po' sorpreso da cose che quasi avevo scordato, e un po' malinconico, perché a questa città e alle persone che ho conosciuto qui mi sono affezionato, e il futuro rimane una grande incognita.

lunedì 3 settembre 2012

Has perdido un condón!


Spesso nella vita ci si trova davanti ad un bivio, ad una di quelle situazioni in cui è probabile che, comunque tu faccia le cose, potranno essere interpretate nel modo sbagliato criticate. Ad esempio: come vestirsi ad un matrimonio? È lecito essere il primo ad iniziare a mangiare in una festa a buffet? Bisogna portare con sé il preservativo al primo appuntamento?

Forse è stata quest'ultima la domanda che si era posto prima di uscire di casa un giovane che ho incrociato in Calle Caballeros, sabato sera, mentre passeggiava con una ragazza. Avrà pensato: 'Se porto il preservativo, finiamo a casa sua e lei scopre che ce l'avevo con me, passerò per il porco che pensa solo al sesso. Se non lo porto, passerò come lo sprovveduto verginello'.

E dunque, sabato sono andato a cena in centro con alcuni amici, in quella parte del Carmen frequentata soprattutto da turisti e piena di locali costosi. Abbiamo cenato a La Tapeta e, nonostante la zona in cui eravamo, abbiamo mangiato più che bene spendendo relativamente poco. Dopo cena, ci siamo avviati verso il Café Lisboa, dietro alla Lonja, ma appena arrivati mi sono accorto di non avere contanti. E così, ho abbandonato i miei amici per qualche minuto per andare a prelevare.

Ignaro che ci fosse uno sportello di Bankia proprio lì dietro, sono tornato verso Plaza de la Virgen e lì, dopo un tentativo andato a vuoto con il Santander, ho prelevato allo sportello del Banco de Valencia (un italiano che ha un conto corrente con Bankia e preleva dal Banco de Valencia . Riassunto della crisi finanziaria Europea).

Per tornare verso la Lonja avevo deciso di attraversare un dedalo di stradine che permette di evitare la folla: ho sempre odiato camminare da solo la sera in zone affollate, perché la gente potrebbe pensare che sono un povero disperato, e passare tra i vicoli mi permetteva di svanire per un po'. Dopo 50 metri, però, un camion della spazzatura ha bloccato il mio cammino: era rimasto letteralmente incastrato in una curva a gomito e i due operatori stavano cercando di liberarlo, mentre il suo olezzo appestava la strada.

Sono tornato su Calle Caballeros e, a quel punto, mentre camminavo a passo spedito ho notato la coppia che camminava davanti a me: lui si stava sfilando il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans e, nel farlo, gli è caduto un preservativo.

Il povero ragazzo aveva notato di aver perso qualcosa, perché si è voltato con uno sguardo un po' smarrito, ma senza vedere - o fingendo di non vedere - ciò che aveva perso. Ma per questi problemi ci sono io. Potevo raccogliere il preservativo, ancora integro, e reinscenare un famoso spot degli anni '80 della Control:


Già vedevo tutti i passanti in Carrer del Cavallers alzare la mano e dire "È mio". Ma non mi andava di raccogliere un preservativo altrui, ancorché impacchettato. E così, forte di un lieve stato di ubriachezza - non vera ubriachezza, diciamo quel livello sufficiente a rendere noi timidi dei simpatici gradassi - ho scelto l'opzione più imbarazzante:

"Disculpa!" ho detto a voce alta. Il ragazzo si è girato e io, indicando il preservativo, ho continuato: "Has perdido un condón!".

La ragazza l'ha guardato sgranando un po' gli occhi, con quell'espressione tipica di queste situazioni tra il sorpreso, l'imbarazzato e il divertito, lui è rimasto immobile e in quel momento è salito in me un forte senso di disagio. Mi sono sentito un po' stronzo.

Ho accelerato il passo e sono tornato verso il Café Lisboa, dove la cameriera stava servendo proprio in quel momento il mio mojito. L'ho sorseggiato e ho condiviso la mia avventura con i miei amici, sviluppando teorie sul rapporto tra i due ragazzi che avevo incrociato, e pensando che sì, ero stato stronzo... Ma che bella scena.