giovedì 25 ottobre 2012

Come uno zombie

Negli ultimi otto giorni sono stato chiuso in casa, per colpa di un'influenza tramutatasi in tonsillite che mi ha fatto vedere i sorci verdi.
Per una settimana non ho visto altro che le mura di casa, ad eccezione di giovedì scorso, quando, credendo di stare meglio, sono tornato a lavoro per un po' di ore, per poi tornare a casa in uno stato ancora peggiore. L'unica cosa positiva è che ne approfittai per fare un po' di scorta di frutta e verdura in Calle Mistral. Proprio lì dove la strada fa angolo con la piazzetta di Benimaclet c'è il mio fruttivendolo di fiducia (se si può definire "di fiducia" un negozio in cui vado da due mesi saltuariamente). Il motivo principale per cui vado lì è perché la palazzina in cui si trova è bellissima, ricoperta di maioliche in una sorta di collage privo di senso. Proprio quella palazzina era stato il set di alcune scene de La Mala Educación di Almodovar, ma, a prescindere da questo, andare a fare la compra lì mi mette di buon umore per il semplice fatto di vedere la palazzina di cui sopra.

In realtà, giovedì non sortì l'effetto desiderato, perché solo volevo tornare a casa il prima possibile, e per fortuna che casa mia si trova si e no a 200 metri da lì.

Ma non è di ortofrutta che volevo parlare.

Stare chiuso in casa, isolato dagli esseri umani - intendo in carne ed ossa - già dopo un paio di giorni ha cominciato ad avere i primi effetti collaterali: avevo iniziato a dire cose, di tanto in tanto, al mio pappagallo, che ovviamente rispondeva picche. Avere la febbre alta (fino a 40 gradi), poi, spinge verso l'inazione, potrebbe far morire di inedia non tanto per la mancanza di fame quanto per la difficoltà che si ha ad alzare anche solo un dito.

E così, l'unica cosa da fare per ammazzare il tempo era guardare telefilm in streaming. E così, ho deciso di iniziare a guardare The Walking Dead, che parla delle (dis)avventure di un gruppo di gente che cerca di sopravvivere ad una non meglio spiegata epidemia zombie attraversando gli Stati Uniti. Non so se è stata l'impossibilità di fare altro, ma sta di fatto che mi sono rapidamente appassionato, cominciando a provare empatia verso i protagonisti (vivi) nonostante il mio stato mi facesse sembrare di più uno dei loro nemici (zombie).

Nel pieno di questo zombie-trend, che mi faceva pensare che lo stesso poteva stare accadendo a Valencia nel frattempo senza che io me ne rendessi conto, ho anche visto una miniserie inglese che si chiama Dead Set sempre a tema zombie, con l'aggiunta di uno humor nero tipico britannico che la rende davvero spassosa e divertente (se non fosse per budella, crani spaccati e fiotti di sangue che si vedono ogni 5 minuti... ma dopotutto è una miniserie che parla di zombie). E poi la trama è tutto un programma: un'invasione di zombie ha devastato la Gran Bretagna e gli unici sopravvissuti sono i ragazzi del Grande Fratello. Come si fa a non vederla?



Ad ogni modo, questa cultura zombologica che mi sono fatto in questi giorni mi ha insegnato che, anche se gli zombie non esistono, l'umanità sembra avere ben chiare le loro caratteristiche:

1) Se vieni morso da uno zombie prendi la zombite e, dopo una lunga febbre, muori e ti trasformi in uno di loro.
2) Gli zombie non sanno nuotare.
3) Gli zombie non hanno battito cardiaco, è tutto un impulso cerebrale.
4) Gli zombie non hanno nulla in comune con ciò che erano quando vivi.
5) Per uccidere uno zombie, devi colpirlo in testa. Puoi decapitarlo, ma se la testa rimane integra continuerà a ringhiare. Se gli tagli gli arti, striscerà ancora verso di te.
6) Gli zombie ringhiano.

... ed io, da uomo di scienza e coscienza, ne ho anche ben chiare le incongruenze:

a. Gli zombie non cagano? voglio dire, stanno continuamente a mangiare carne e roba sanguigna, dove mettono tutto quel cibo?
b. Se gli zombie sono in realtà morti, il loro corpo non dovrebbe andare in decomposizione? Se così fosse si estinguerebbero da soli
c. Capisco nella campagna americana dove la gente ha case con porte fatte di carta velina, ma io ho una porta blindata e vivo al primo piano, come farebbero gli zombie a raggiungermi? in generale, io credo che in Europa potremmo sopravvivere molto meglio.

Per fortuna oggi sono tornato a lavoro e posso ricominciare a pensare a cose serie.

mercoledì 17 ottobre 2012

Fumar Mata - Atto II


Ebbene sì, sto cercando di smettere di fumare di nuovo, nonostante il disastroso fallimento del mio ultimo tentativo. Ma cosa ci porta a smettere di fumare?

In teoria, farlo ha così tanti vantaggi che uno non dovrebbe pensarci due volte. Il risparmio non indifferente di denaro, non svegliarsi più la mattina con quella schifosa tossetta, perdere la dipendenza dalla nicotina che ti costringe a cercare sigarette proprio quando di distributori non c’è ombra, non sentire l’odore di fumo sui vestiti, vedere la pelle del viso che poco a poco riprende un colore diverso, riconoscere che il sapore del cibo è ancor più intenso di quello che si pensava, poter baciare una persona che non fuma senza prima imbottirsi di mentine. Ah, stavo dimenticando il dettaglio del ridurre il rischio di malattie cardiovascolari, per citare il retro dei pacchetti.

Nel mio caso, il semplice fatto di pensare a questa lista di vantaggi è inutile: serve un evento scatenante, dirompente, qualcosa che vinca la mia assenza di forza di volontà. Ebbene, io ho raggiunto la consapevolezza necessaria per compiere il grande passo in modo graduale, ma ho ben preciso in testa il momento in cui ho deciso che avrei smesso.

Era un sabato mattina recente. Mi sono alzato con il mal di testa da postumi che mi attanagliava il cervello, respiravo producendo un originale fischio coi polmoni, e ho riflettuto a come sia bravo ad uscire di casa sentendomi Clark Gable e rincasare ridotto peggio di Peter Falk. Mi sono alzato, ho raccolto la mia maglietta buttata per terra, ho sentito come puzzava di fumo e l’ho lanciata nel cesto della biancheria in bagno, prima di mettere la testa sotto l’acqua e ripensare alla sera prima.

Ho ripensato al tour un po’ troppo alcoolico tra i bar di Ruzafa, dallo Slaughterhouse all’Ubik, attraverso livelli di gradazione intermedi, e con parecchie sigarette. E alla parte finale della serata, all’XtraLarge, utile ultima tappa per salutare il barrio prima di andare a dormire o cambiare zona (ma io sto diventando troppo vecchio per la seconda opzione). L’XtraLarge mi piace, mi piace il locale, mi piace la musica che mettono, mi piace il tipo di gente che lo frequenta.

Comunque, dicevamo. Alcool e sigarette, a profusione. E proprio quando la serata stava volgendo al termine, mi sono ritrovato davanti a una persona che non mi aspettavo di vedere lì, e in realtà non ne avevo molta voglia. Quando ci vedevamo non fumavo mai, forse per guadagnare punti: è noto che, ai non fumatori, noi fumatori non andiamo molto a genio, a meno che non siano perdutamente innamorati di noi, e credo proprio che questo non fosse il caso. Abbiamo avuto una conversazione cordiale, che sarebbe stata addirittura formale se io non fossi stato in quello stato, quasi da non stare in piedi, e nel frattempo pensavo a quanto volessi essere già nel mio letto.
Piano piano, nella mia memoria annebbiata dai postumi, ho ricordato come io biascicassi e gli abbia chiesto più di una volta di ripetere cosa avesse detto, incolpando il volume della musica, e ho visto lo sguardo un po’ da “guarda che povero Cristo” che avevo davanti.



E siccome non c’è limite al peggio, per riparare ai danni della sera prima ho anche mandato un messaggio, che, tra le altre cose, diceva l’ovvio attraverso un understatement: “Ero piuttosto ubriaco ieri sera”. Sì: io faccio più cazzate quando ho i postumi che quando sono ubriaco.
La risposta è stata peggio di una non risposta:  “A presto!”.  Otto caratteri.
Ci mancava solo l’emoticon.

Lo so, tutto questo non ha niente a che vedere con il fumo. Ma è davvero per questo che ho deciso di smettere, che a poco a poco ho messo questa decisione in pratica, e che da 9 giorni non ne sento il più lontano bisogno.

A presto!

mercoledì 10 ottobre 2012

La Paella

"La vera paella è quella Valenciana. Tutto il resto è riso".

La sindaca-monarca di Valencia, Rita Barberà, una via di mezzo tra Giuliano Ferrara e Margaret Thatcher, ha le idee ben chiare su come bisogna preparare uno dei piatti della cucina valenciana più famosi al mondo, la paella, tanto che sul suo blog - in cui, evidentemente, parla dei problemi seri che devastano la città - ha sentito la necessità di mettere un po' di punti fermi.

Ed evidentemente deve averlo fatto bene, dato che alcuni miei amici, dei quali tutto si può dire tranne che siano suoi sostenitori, o più generalmente dei peperos, sostengono che "di Rita possiamo criticare tutto, ma la sua ricetta della paella è impeccabile".

Due settimane fa, di ritorno da Bratislava, ho invitato A. e C. a mangiare paella a casa mia. Per la precisione, li ho invitati a venire a cucinare la paella a casa mia, e così colgo l'occasione per introdurre una nuova sezione del blog: quella delle ricette valenciane. Raccontate però sulla base della mia esperienza.

Prima di tutto: ingredienti ammessi (per 3 persone)

3 cosce di pollo
3 pezzi di coniglio
un pomodoro
fagiolini verdi piatti, max 100 grammi 
una decina di fagioli grandi di Spagna
colorante alimentare
zafferano (ma se non c'è non è la fine del mondo)
rosmarino
riso "bomba" (vedere più in basso per la quantità)
un limone
sale q.b.

Ingredienti potenziali

un po' di peperone rigorosamente rosso
2 cuori di carciofo tagliati in 4 pezzi


Ingredienti vietati

Salsiccia
Vongole, cozze e pesce in generale: la paella mista non esiste.
Aglio e Cipolla
In generale, tutto ciò che non è nelle liste precedenti.

Preparazione
Mentre io versavo il vino portato da C. (e che poi ci siamo scolati in due, visto che A. non beve vino, neppure in versione calimocho), abbiamo cotto la carne. La carne va cotta nella stessa padella in cui poi si farà la paella, con un abbondante strato di olio a ricordarci che ingrasseremo.
Quando la carne è pronta, toglierla e buttare in padella il pomodoro (tagliato a tocchetti piccoli) e i fagiolini, e far cuocere per un po' aggiungendo acqua perché non si secchi. 
A questo punto, rimettere la carne, aggiungere acqua fino quasi a coprire la carne (ma non completamente!) e, tenendo il fuoco vivo, iniziare a far spazio.

A questo punto la bottiglia di vino era quasi finita, ed io ero piuttosto brillo, ma proprio in quel momento iniziava il passaggio più serio. Si notava dal tono e dagli sguardi drammatici di C. e A. mentre si apprestavano a metterlo in padella. 

Il riso nella paella va messo a forma di croce. Non chiedetemi perché, ma si fa così. E così, impugnando la busta di riso, A. ha cominciato a fare la prima striscia, facendo spuntare il riso stesso dall'acqua che c'è nella pentola. Non bisogna esagerare con il riso, perché la paella a quel punto non si può più toccare, ed il rischio è sempre che si secchi troppo. 

Nel nostro caso, vista la fame atavica che attanagliava me e C., abbiamo costretto A. a fare la croce nella padella, anche se lei sosteneva che una riga di riso sarebbe stata sufficiente e non si prendeva la responsabilità. 

Una volta messo il riso, poi, si deve aggiungere il colorante e abbandonare la paella al suo destino. 

Nel nostro caso, come previsto, la padella ha iniziato a seccarsi troppo presto, e così abbiamo fatto ricorso alla soluzione di emergenza: abbiamo messo dell'acqua nel bollitore e l'abbiamo aggiunta già bollente. I miei cuochi erano preoccupatissimi, io forse ero semplicemente brillo - o del tutto inconsapevole del processo di preparazione- dicevo, erano preoccupatissimi perché stavamo rischiando di rovinare tutto.

In ogni caso se proprio dovete aggiungere acqua, che sia già calda, e magari un po' salata, altrimenti la paella diventa insipida. Dopo un po' che il riso è in cottura, si può passare a fuoco medio.

E' assolutamente vietato per legge toccare in alcun modo la paella mentre si cucina. Non bisogna assolutamente muovere il riso, né girarlo. Bisogna aspettare che l'acqua evapori; la parte di sotto rimarrà bruciacchiata e scoprirete che è la parte più buona della paella.

Dopo tante peripezie, quello che vedete qui sotto è stato il risultato, e lasciatemi dire che i miei amici/cuochi/invitati mi hanno preparato una paella da urlo:



giovedì 4 ottobre 2012

Manolo, El del Bombo

Dato che vivo a Valencia da più di un anno, la mia strada ha incrociato quella di alcuni personaggi più o meno famosi che sono proprio di Valencia.

Quando mi passò accanto Chimo Bayo, che tra le altre cose compose (?) quel capolavoro di canzone che è Extasi Extano (ma era poi questo il titolo?), uno degli inni dei meravigliosi anni 80, e che sicuramente è stato fonte di ispirazione per Lady Gaga in qualcuno dei suoi travestimenti, quasi non l'ho notato. Fu una mia amica a farmelo notare, sottolineando come incontrare Chimo Bayo per una strada di Ruzafa in un pomeriggio settembrino non preannunci nulla di buono.

Ma il vero contatto con un personaggio famoso l'ho avuto un paio di settimane fa, una domenica che era il Día de la Bicicleta a Valencia. Si percorreva un tracciato di 10 km partendo dal Paseo de Alameda, verso Avenida del Puerto, si sfiorava il porto attraversando il circuito urbano di Formula 1 e poi di ritorno passando accanto alla Città delle Arti e della Scienza. Un percorso non troppo lungo, una domenica ancora estiva - almeno per la temperatura - tutto molto politically correct ma divertente, anche perché c'era gente conciata così:


Il recorrido è finito poco dopo mezzogiorno, troppo presto, per gli orari spagnoli, per andare a casa a pranzare, anzi l'ora perfetta per andare a fare un almuerzo (trad.: la ricreazione, per usare termini da scuola media).

E così, con gli amici ciclisti, abbiamo iniziato la ricerca del posto giusto per almorzare, ricerca non facile visto che almeno la metà dei bar a Valencia sono chiusi di domenica. Dopo alcuni tentativi andati a vuoto, è saltata fuori la proposta: "Andiamo da Manolo El del Bombo!" e tutti hanno reagito positivamente e con entusiasmo.

Io ho abbozzato, senza avere la più pallida idea di chi o che cosa fosse "Manolo El del Bombo", e così ho chiesto lumi.

(Piccola parentesi: "Bombo" in spagnolo, significa "tamburo". Quindi "Manolo El del Bombo" in italiano significa "Manuele Quello Del Tamburo").

A.: "Quello di Manolo El del Bombo è un bar che non puoi non visitare almeno una volta a Valencia."
J.L.: "Bar? È un fottuto museo."
A.: "Ah sì, è tu museo deportivo!" (tutti ridono)
S.: "E poi lui è un personaggio. Ma si è lasciato anche con l'ultima moglie?"
A.: "Sì, pare che la moglie gli abbia detto: 'Manolo scegli, o il tamburo o io!' e lui ovviamente abbia scelto il tamburo".

Io non lo vedevo ancora per nulla chiaro, mentre eravamo sempre più vicini al suo bar, che è proprio accanto al Mestalla, lo stadio di Valencia, Regno del Calcio cittadino. E così mi hanno spiegato.



Manuele Quello Del Tamburo è un signore di mezza età che nella sua vita ha visto tutte le partite della nazionale spagnola, senza perderne (quasi, vedi sotto) nessuna. Ciò che lo contraddistingue è che a tutte le partite va con un tamburo che, tra l'altro, tiene esposto nel suo bar, e vestito in modo abbastanza appariscente.

Manolo è noto in tutta la Spagna per questa sua peculiarità, tanto che il suo bar - pardon, Museo - è tappezzato non solo di simboli calcistici quanto di ritagli di giornale che parlano di lui, foto con personaggi famosi, autografi e chi più ne ha più ne metta. È così noto il suo amore infinito verso la Roja che quando, in vista della finale dei Mondiali del Sudafrica 2010, dovette tornare in Spagna per gravi problemi di salute, perdendosi così la partita che fece la storia per gli amanti spagnoli del calcio, tutto il Paese (?) era in ansia per lui. O almeno così diceva un articolo che ho visto appeso nel suo bar.

Dopo una lunga attesa, Manolo si è avvicinato al nostro tavolo, io stavo iniziando a ordinare "Una tostada con..." e lui mi ha interrotto: "Ah no, non sono venuto a prendere le ordinazioni, ora viene la ragazza. Sono venuto a salutarvi. Poi venite dentro che ci facciamo la foto insieme."

Il primo VIP (?) della storia che ti offre di farsi una foto con lui. Mica cazzi.

Finito l'almuerzo all'esterno, siamo entrati e lui ci ha chiamati a gran voce: "Venite ragazzi, venite! Dietro al bancone per la foto!". Io volevo morire. Il bar era pieno di gente, che guardava una partita a me ignota, e tutti hanno iniziato a guardarci.

E io ho iniziato ad avere il terrore che, andando dietro al bancone, mi facesse qualche domanda di calcio, a me che a malapena so quanti sono i giocatori per squadra in una partita.

Sono entrato io per primo, seguito dai miei amici, Manolo si è messo al centro, poi ha avuto la geniale idea: si è girato e ha preso la Coppa simil-coppa del mondo che aveva alle sue spalle, così che tutti e cinque nella foto la potessimo reggere. Ed avere, con lui, il nostro momento di gloria.

lunedì 1 ottobre 2012

El Congreso

La scorsa settimana sono stato a Bratislava per una conferenza. Non ero mai stato a Bratislava: in realtà, mi aveva sempre incuriosito in modo inquietante da quando vidi Hostel, che si svolge proprio lì ed è l'unico film horror che nella mia vita ho dovuto interrompere a metà perché ero troppo impressionato.

(Particolare per stomaci forti: decisi di spegnere la TV quando il carnefice tagliò le caviglie ad un prigioniero, lasciò che si alzasse e quando questo lo fece i piedi si staccarono dal resto del corpo. Fine dei dettagli splatter).
Per tenermi al passo con il posto in cui ero diretto, all'Aereoporto di Bergamo ho comprato un libro di Jo Nesbø e, credeteci o no, dopo quattro giorni l'ho già quasi finito.

In realtà Bratislava mi aveva sempre affascinato, perché nella mia testa rientrava tra le città del Centro-Est Europa ex comunista che hanno conservato un loro fascino. Altre città affascinanti dell'Europa Centro-Orientale: Praga, Zagabria, Lubiana, Riga, Budapest. Città non affascinanti dell'Europa Centro-Orientale: Skopje, Minsk, Kiev.

Purtroppo, la mattina di giovedì - primo giorno della conferenza - ho avuto la pessima idea di andare a piedi all'Università, che era letteralmente dall'altra parte della città (e del fiume), lì dove la poesia medievale del piccolo centro storico di Bratislava lascia spazio all'architettura popolare dell'era comunista. Dopo aver fatto colazione e aver controllato il percorso sulla mappa, mi sono avviato, dopo 30 minuti di cammino ho attraversato il fiume, uh ma che bella vista, sono sceso giù dal ponte seguendo la pista ciclabile e mi sono ritrovato nel nulla. In teoria l'università era vicinissima ma io non avevo modo di raggiungerla, né di vederla, e questo è il panorama che avevo davanti: Hostel II sto arrivando.


Mentre mi maledicevo, seguendo la camminata lungo una pista ciclabile che portava non si sa dove, ha anche iniziato a piovigginare. Mi sembrava di essere ritornato a quando ero vicino Varsavia per un'altra conferenza e arrivai con 60 cm di neve, 14 gradi sotto zero, sbagliai strada dalla fermata del bus all'hotel e quando arrivai lì - vabbè, quella è un'altra storia.

Nonostante tutto, dopo un giro assurdo, sono riuscito ad arrivare all'Università, seppure con mezz'ora di ritardo (tempo totale della camminata: 70 minuti. Cosa non si fa per risparmiare il prezzo del taxi a chi ti dovrà rimborsare il viaggio...)
 Al mio arrivo, come sempre, mi hanno dato la borsa della conferenza con il merchandising vario, ma se ancora avevo dubbi che questa potesse essere un'esperienza surreale, sono stati finalmente dissipati dal contenuto della borsa. Quando, seduto al mio banco nella prima sessione plenaria, l'ho aperta, mi è sembrato di aver trovato il Santo Graal. Ed ecco a voi cosa contiene una Borsa Data Ad Una Conferenza Nell'Europa Dell'Est:


Una ragazza si è seduta vicino a me, si è presentata, io ho ricambiato e lei "sì, lo so, la Professoressa Fhshiblzuihlciunfzfz mi ha detto che presenterai un paper interessante". Io ho ringraziato, nel frattempo è arrivata la sconosciuta Professoressa Fhshiblzuihlciunfzfz, che si è presentata a me e poi ha parlato con la ragazza, una dottoranda:
Prof: "shgiuhgvsg fhnsgiubgibgia fifeufaoiccobaa"
Dottoranda: "iwaeaycilybvlu"
Prof e Dottoranda: "ahahahahah!"
La mia interpretazione è stata che stessero parlando male di me.

La conferenza è andata bene, ma mi raccomando, se andate a Bratislava dovete assolutamente:
- Fare colazione da Shtoor, che è una caffetteria molto carina in centro e frequentata de gente molto giusta, e prendere una fetta della loro Crumble Apple Tart. E' spaziale.
- Cenare o andare a bere al Verne, che è bellissimo e dove, a quanto pare, vanno spesso anche VIP della musica o della TV Slovacchi. Una pinta di birra, 1.60 €.

Passo e chiudo.