domenica 29 luglio 2012

Curso de Español


(15 Novembre 2011)
Stamattina, a lezione di spagnolo, ho litigato con la mia compagna di corso cinese.

Tutti i martedì e i giovedì, di prima mattina, frequento un corso di spagnolo che, nelle mie intenzioni, dovrebbe colmare le mie lacune linguistiche, che sono così diffuse da farmi sentire un trancio di Emmenthal; il livello è tra B1 e B2, e così all’inizio avevo un po’ da recuperare rispetto ai colleghi. La classe è piuttosto piccola, il che è un bene: siamo in sette; e la composizione in quanto ad età e provenienza geografica è variegata: tre italiani, una brasiliana, due cinesi e un rumeno. Il professore di spagnolo mi piace: è giovane, e ci tiene molto a farci conversare molto in aula e insegnarci ad utilizzare lo spagnolo come faremmo nella vita di tutti i giorni, piuttosto che dire el gato está sobre la mesa.

Un’altra cosa che mi piace è che Pablo (il prof) spesso ci fa intavolare dei dibattiti su temi seri: gli indignados piuttosto che le proteste del ’68, il sistema educativo, il matrimonio omosessuale, e chi più ne ha più ne metta. Ogni tanto, però, questi dibattiti generano momenti di gelo.

Il primo esempio lo abbiamo avuto un paio di settimane fa, quando Pablo ci ha fatto leggere un testo sulle proteste del ’68, riadattato in modo da avere un bel po’ di concessive, che erano il tema della lezione. Ognuno leggeva una parte, e ad un certo punto Pablo chiede ad una delle due ragazze cinesi di leggere:

Pablo: “J., continua tu”

J.: “No.”

Pablo: ”Come no? ¨Devi solo leggere”

J.: “No, non voglio leggere questo”

Pablo: “…”

Giovedì scorso abbiamo letto due articoli che riguardavano, in parte, il matrimonio omosessuale e il fatto che, nel corso di Educación a la ciudadaníaintrodotto dal governo nelle scuole 4 anni orsono, siano introdotte anche queste forme di famiglia. Gli articoli erano uno de El País, con opinione favorevole, e uno di una associazione di genitori cattolici, notevolmente contrario, al punto da accostare questa materia all’ideologia Franchista (!!).

Dopo aver letto i due articoli, discutiamo su chi è pro e chi contro, concludendo che in realtà eravamo tutti a favore; io mi lancio in una difesa della libertà che in realtà è rispettata solo ponendo tutte le forme di convivenza sullo stesso piano; J. non aveva aperto bocca fino ad allora e così Pablo la incentiva a dire la sua: “E tu che ne pensi?”

J: “Non so”

Pablo: “Come non sai? Secondo te chi ha ragione? Ha ragione qualcuno?”

J: “Mi sembra che dicano la stessa cosa. Non capisco perché si discuta di questo”

Pablo: “…”

Oggi dovevamo fingerci politici: immaginare di vivere in un quartiere con molta criminalità e proporre soluzioni in vista delle elezioni comunali. Sono uscite un po’ di proposte: più illuminazione pubblica la sera per dare sicurezza, più polizia per le strade, maggiore educazione, non lasciare i bambini abbandonati a sé stessi…. ovvía, chi più ne ha più ne metta.

Ma J. non era molto soddisfatta.

Pablo: “Che te ne pare?”

J: “Non so, secondo me bisogna fare come a Singapore”

Tutti: “Ah.”

(…)

Pablo: “Come si fa a Singapore?”

J: “Se uno ad esempio ruba, si tagliano le dita!”

Gaetano: “Stai scherzando vero? Proporresti una barbarità del genere?”

J: “Ma è meglio! Se si tagliano le dita, nessuno ruba perché ha paura che gliele taglino”

Tutti: “…”

Gaetano: “A me sembra assurdo persino che se ne parli! Sono cose disumane!”

J. “Ma cosí la gente non ruba”

Gaetano: “La gente è pazza”

J: “…”

Gaetano: “Pablo, cambiamo esercizio?”

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