(15 Aprile 2012)
Esattamente un anno fa lasciavo l’Italia per trasferirmi a
Francoforte, prima, e a Valencia, poi. Scrivere su questo blog le mie
rimembranze sentimentaliste è un uso un po’ improprio del mezzo, ma farò finta
di niente.
Quando me ne andai da Bologna dicevo “non sono io a lasciare Bologna, è Bologna a lasciare me”,
lamentando il fatto di non essere riuscito a trovare opportunità lavorative
concrete che mi facessero restare. La realtà è che no, io non ho fatto nulla
per restarci, e volevo andare via, e nonostante questo ogni volta che ci sono
tornato in questi dodici mesi mi ha fatto molto effetto: in realtà, soprattutto
fino a quando ero ancora a Francoforte, sono tornato così spesso che quasi non
mi sembrava di essere andato via, visto che una volta al mese mi trovavo lì.
Vivere da migrante ti insegna tante cose. Su di te, sul
mondo, sul tuo modo di porti con il prossimo. Ti insegna a contare solo su te
stesso nei momenti in cui ti sembra di non farcela più. Ti insegna, piano
piano, a non sentirti diverso dalle persone che frequenti per il semplice fatto
che loro hanno ancora delle radici, e legami solidi, e tu, invece, sei tabula
rasa. Ma la lista di ciò che si impara vivendo da emigrato è molto lunga.
Avere difficoltà a
staccarsi può costare molto caro. Per la precisione, 570 euro. Questo è
quanto ho speso in biglietti aerei nei primi cinque mesi dell’anno iniziato il
16 aprile 2011, per tornare a casa. Per finire con il lavoro rimasto in sospeso
a causa della partenza inattesa, per rivedere gli amici che per te sono quasi
una famiglia, per tanti motivi che insomma valevano molto di più del denaro. E’
facile, così facendo, rimanere con le pezze al culo.
“You don’t know what you’ve got till it’s
gone”. Per
ben due volte in un anno, il 2011 mi ha insegnato che quando si dice addio ad
un luogo, e a delle persone, e solo in quel momento, si riesce davvero a
valorizzare tutto quello che si aveva. Se penso ai legami che ho lasciato a
Bologna, e quelli creati a Francoforte, ancora non mi capacito di quanto sia
stato fortunato, soprattutto io che tendenzialmente, invece, sono uno sfigato
cronico. Questa è la più grande lezione che ho imparato lo scorso anno. E, per
quanto abbia anche imparato a tenere stretti quei rapporti, il vuoto lasciato è
molto, molto grande.
Sono destinato a
vivere sotto governi di destra. Facciamo un po’ i conti: lascio l’Italia, e
pochi mesi dopo Berlusconi cade. Arrivo in Spagna, e pochi mesi dopo l’era
Zapatero finisce – nel peggiore dei modi – per lasciar posto al Partido Popular
che, a parte la politica economica (che meriterebbe un’analisi molto, molto
noiosa) sta annunciando (per il momento, solo annunciando) riforme nel campo
dei diritti civili che riporterebbero la Spagna al… beh, al livello
dell’Italia. Vedremo che succede. La lezione è che mai si dovrebbero dare per
scontate certe conquiste.
La “fase
dell’aggiustamento” può arrivare senza la “fase della negoziazione”. Gli
psicologi dividono lo shock culturale risultante dall’andare a vivere
all’estero in quattro fasi: 1) la luna di miele (ossia “tutto qui è bellissimo,
come ho fatto a non venirci prima”, tipicamente i primi 3 mesi); 2) la fase
della negoziazione (“qui nessuno mi capisce, mi manca la mia casa e mi stanno
tutti sulle balle”, dal terzo al sesto mese); 3) la fase dell’aggiustamento
(“beh no dai mi sbagliavo, qui sto proprio bene”, dal sesto al dodicesimo
mese); 4) la fase della padronanza ossia “sono più indigeno degli autoctoni”.
Con Valencia non ho vissuto una vera e propria fase 2. Ma mi sembra di essere
entrato in punta di piedi nella fase 3, ora che già mi sento di fare programmi
per il futuro, ora che (adesso posso ammetterlo) non mi capita più di pensare
che se non mi trovo più bene posso sempre tornare in Italia. Ho anche messo in
cantiere di iniziare a studiare Valenziano da settembre, e ogni tanto mi
avventuro a dire qualche parola. Questo passaggio così scorrevole ha un nome e
un cognome che vanno ben oltre le fasi dello shock culturale, lo so.
Sono appena tornato da un viaggio itinerante in Italia, dove
una delle tappe è stata ovviamente Bologna, e stavolta, per la prima volta,
andandomene, l’ho salutata come una vecchia amica che presto – non so quando –
rivedrò, non come la casa che ho lasciato piena di ricordi. Per la prima volta,
prendendo l’aereo da Pisa alla fine del viaggio, sentivo che stavo tornando a
casa, ma questa volta a Valencia.
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