domenica 29 luglio 2012

Chiavi in mano

(18 maggio 2012)



Ieri sono uscito da lavoro relativamente presto. Dopo il solito giovedì, il dia negro della settimana, sei ore di lezione la mattina e tre di ricevimento studenti il pomeriggio, ero talmente esausto che alle sei e mezza ho chiuso l’ufficio e sono tornato a casa.
Poiché ho proprio dall’altro lato della casa un supermercato, ho preso la pessima abitudine, quando ho bisogno di fare la spesa, di ripassare a casa dopo il lavoro, lasciare lo zaino e la bicicletta, e poi riuscire per fare la spesa. Così ho fatto ieri.
Ho lasciato tutto, ho preso il telefono e il portafogli, ho chiuso la porta di casa e mi sono reso conto di aver lasciato all’interno, insieme alla bici e allo zaino, le mie chiavi di casa. Immediatamente sono stato preso dal panico.
(Nota: dopo sette mesi, non ho ancora lasciato a nessuno un mazzo di chiavi di emergenza)
Che minchia faccio ora? Mi chiedevo, mentre le varie opzioni ronzavano nella mia testa. Opzione numero uno: chiamare i vigili del fuoco. Scartata: chissà quanto avrei dovuto pagare, magari con gli ultimi tagli e tasse del governo ora si fanno pagare 900 € per un intervento. E poi chi l’ha detto che in Spagna i vigili del fuoco fanno anche questo? Opzione numero due: chiedere al portiere del palazzo. Scartata: ho sempre pensato che lui mi odi (pensiero che in realtà ho sempre, ogni volta che qualcuno mi saluta con freddezza, e lui lo fa dal 7 settembre), e poi lui non ha la chiave, perché la sua copia è quella che ho io adesso. Opzione numero tre: chiamare la padrona di casa. Accolta.
La mia padrona di casa è un Paternera. In senso stretto, vuol dire che è di Paterna, paese poco fuori Valencia. In senso lato, Paternera in spagnolo è sinonimo di poligonera, o tamarra, o truzza, vocabolo a me già noto e di cui ho già avuto modo di parlare su queste pagine. In realtà lei non è una tamarra, ma mi piace immaginarla così.
Inoltre, è sempre di fretta. Ogni volta che la chiamo mi mette ansia: io già vivo sempre nel terrore di disturbare il prossimo quando gli telefono, lei lo accentua usando un tono della serie “mi sta andando a fuoco casa, muoviti”. Ma stavolta era inevitabile, così le ho telefonato:
- Ciao, come va?
- Hola! Scusa sto lavorando cosa ti serve?
- …
- …
- Ehm mi è capitato un guaio… ho lasciato le chiavi in casa e spero tu abbia una copia…
- Madre mia…
- …
- Ok, sto finendo di lavorare, vengo quanto prima.
E così l’ho aspettata (senza andare a fare la spesa nel frattempo) e dopo un’ora scarsa si è manifestata. Ovviamente, siccome io sono uno sfortunato ed era anche il 17, quando è arrivata lei l’ingresso del palazzo era affollato. C’erano, nell’ordine:
1. Juan Carlos, il portinaio
2. L’alcoolizzata del settimo piano, una signora di mezza età che a volte mi ha attaccato una pezza parlandomi delle sue allegre ubriacature con la sua famiglia
3. La Signora Guapo, una vecchia di almeno 75 anni alta un metro e un toast in orizzontale così chiamata perché ogni volta che mi incontra mi chiama Guapo.
E cosa fa la mia “amica”? Saluta Juan Carlos, che le chiede come va, e lei risponde, in tutta serenità:
- Beh, sono dovuta venire fin qui perché il mio inquilino ha lasciato le chiavi in casa. (Risate)

Stronza.

E io che, nell’attesa, mi preoccupavo di quanto avessi lasciato la casa in ordine.

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