Ieri sono uscito da lavoro relativamente presto. Dopo il
solito giovedì, il dia negro della settimana, sei ore di lezione la mattina e
tre di ricevimento studenti il pomeriggio, ero talmente esausto che alle sei e
mezza ho chiuso l’ufficio e sono tornato a casa.
Poiché ho proprio dall’altro lato della casa un
supermercato, ho preso la pessima abitudine, quando ho bisogno di fare la
spesa, di ripassare a casa dopo il lavoro, lasciare lo zaino e la bicicletta, e
poi riuscire per fare la spesa. Così ho fatto ieri.
Ho lasciato tutto, ho preso il telefono e il portafogli, ho
chiuso la porta di casa e mi sono reso conto di aver lasciato all’interno,
insieme alla bici e allo zaino, le mie chiavi di casa. Immediatamente sono
stato preso dal panico.
(Nota: dopo sette mesi, non ho ancora lasciato a nessuno un
mazzo di chiavi di emergenza)
Che minchia faccio
ora? Mi chiedevo, mentre le varie opzioni ronzavano nella mia testa.
Opzione numero uno: chiamare i vigili del fuoco. Scartata: chissà quanto avrei
dovuto pagare, magari con gli ultimi tagli e tasse del governo ora si fanno
pagare 900 € per un intervento. E poi chi l’ha detto che in Spagna i vigili del
fuoco fanno anche questo? Opzione numero due: chiedere al portiere del palazzo.
Scartata: ho sempre pensato che lui mi odi (pensiero che in realtà ho sempre,
ogni volta che qualcuno mi saluta con freddezza, e lui lo fa dal 7 settembre),
e poi lui non ha la chiave, perché la sua copia è quella che ho io adesso.
Opzione numero tre: chiamare la padrona di casa. Accolta.
La mia padrona di casa è un Paternera. In senso stretto,
vuol dire che è di Paterna, paese poco fuori Valencia. In senso lato, Paternera
in spagnolo è sinonimo di poligonera, o tamarra, o truzza, vocabolo a me già
noto e di cui ho già avuto modo di parlare su queste pagine. In realtà lei non
è una tamarra, ma mi piace immaginarla così.
Inoltre, è sempre di fretta. Ogni volta che la chiamo mi
mette ansia: io già vivo sempre nel terrore di disturbare il prossimo quando
gli telefono, lei lo accentua usando un tono della serie “mi sta andando a
fuoco casa, muoviti”. Ma stavolta era inevitabile, così le ho telefonato:
- Ciao, come va?
- Hola! Scusa sto lavorando cosa ti serve?
- …
- …
- Ehm mi è capitato un guaio… ho lasciato le chiavi in casa
e spero tu abbia una copia…
- Madre mia…
- …
- Ok, sto finendo di lavorare, vengo quanto prima.
E così l’ho aspettata (senza andare a fare la spesa nel
frattempo) e dopo un’ora scarsa si è manifestata. Ovviamente, siccome io sono
uno sfortunato ed era anche il 17, quando è arrivata lei l’ingresso del palazzo
era affollato. C’erano, nell’ordine:
1. Juan Carlos, il portinaio
2. L’alcoolizzata del settimo piano, una signora di mezza
età che a volte mi ha attaccato una pezza parlandomi delle sue allegre ubriacature
con la sua famiglia
3. La Signora Guapo, una vecchia di almeno 75 anni alta un
metro e un toast in orizzontale così chiamata perché ogni volta che mi incontra
mi chiama Guapo.
E cosa fa la mia “amica”? Saluta Juan Carlos, che le chiede
come va, e lei risponde, in tutta serenità:
- Beh, sono dovuta venire fin qui perché il mio inquilino ha
lasciato le chiavi in casa. (Risate)
Stronza.
E io che, nell’attesa, mi preoccupavo di quanto avessi
lasciato la casa in ordine.
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