martedì 15 aprile 2014

Otra vez


"Forse dovresti cominciare a pensare a cosa farai a partire da settembre, se non ti rinnovano il contratto", mi ha detto J., mentre sparecchiavamo la tavola, dopo aver finito di cenare.

"Sì, ma è difficile prendere decisioni drastiche quando si è avvolti nell'incertezza...", gli ho risposto, abbozzando, e cercando di dissimulare il fatto che io stia procrastinando ogni scelta cruciale a data da destinarsi.

"Già... Io ho sempre più chiaro che me ne tornerò in America Latina, a settembre. Le offerte di lavoro che sto trovando sono molto migliori di quello che c'è qui in Europa."
"E hai voglia di tornare?", gli ho chiesto, sapendo già la risposta. 
"Sì Gae, e poi così posso stare vicino ai miei. E a te non manca l'Italia?"
"No... Sì... No.", ho risposto, evidentemente molto convinto. J. ha riso, una risata di quelle che implicitamente ti dicono che non stanno capendo nulla.

"Certo che mi manca. Mi mancano i miei amici, mi manca la mia famiglia - anche se comunque sarei stato lontano da loro -, mi manca il mio Paese. Ma ogni volta che torno mi sento più estraneo. Io sono cambiato, ma soprattutto ho sempre più l'impressione che l'Italia sia cambiata, come se la crisi profonda degli ultimi anni l'abbia fatta regredire. Vedo un imbarbarimento nei costumi, nelle persone; come se la scusa della depressione economica abbia permesso una regressione anche nell'apertura mentale".
"In che senso?" mi ha chiesto J., spaesato.

"Nel senso che io leggo le notizie dall'Italia, la osservo quando torno, leggo ciò che scrive la gente e mi sento un alieno. Niente di tutto ciò in cui credo sembra avere più spazio. L'Italia sta diventando un paese bigotto, dove è normale rallegrarsi per il naufragio di un barcone di immigrati o il pestaggio di un omosessuale; dove non suscita sconcerto diffuso dare della scimmia a un ministro di colore; dove il sessismo è uno strumento politico qualunque, dove quelle che in altri Paesi sono conquiste di civiltà ormai assodate si fanno sempre più lontane"

"Vedi però... Questa è l'immagine che ho io dell'Italia, e che sempre mi hanno confermato, con i loro racconti, gli italiani emigrati che ho conosciuto".
"No, non è questa l'Italia", ho risposto io, convinto e un po' incazzato, "o almeno non era questa. Prima c'era un barlume di politicamente corretto, c'erano dei valori che pian piano prendevano spazio, c'erano differenze tra diverse parti del Paese nel modo di pensare. Ora è come se l'opinione più becera sia stata legittimata, crea più scandalo un bacio tra due uomini che non un incitamento a imbracciare i fucili o un vecchio che va con una minorenne". Nel frattempo, mi sono accorto che stavo liberando la tavola nervosamente.

La cosa più brutta dell'avere espatriato è guardarsi alle spalle e non riconoscersi nelle proprie origini: non perché si vogliano rinnegare, ma perché sono proprio loro ad aver rinnegato te.
Quando, di questi tempi, si parla della nuova emigrazione, si fa riferimento a giovani e meno giovani in cerca di un lavoro in Paesi con più prospettive. Mai si parla di chi se ne va per scelta, per cercare una vita migliore, per sentirsi identificato e orgoglioso di ciò che lo circonda. Sempre si pensa a quanto sia difficile adattarsi ad un contesto sociale diverso da quello di provenienza, mai a quanto sia difficile restare lì dove ci si sente sempre più minoranza. 

Sono andato via dall'Italia esattamente tre anni fa e ho imparato, in questi anni, a cercare di sentirmi a casa lì dove non è casa mia; ho scoperto che è più facile che restare. Ho scoperto che, quando i miei interlocutori criticano l'Italia e gli italiani, con gli argomenti di sempre, nasce in me un certo orgoglio, una certa voglia di difendere il mio Paese che prima non avevo, e che però piano piano si fa sempre più effimera. E anche se le cose in questi tre anni non sono sempre andate come avrei sperato, o forse quasi mai, in nessun momento mi sono pentito della mia scelta.

"A me manca l'Italia, ma non questa. Mi manca l'Italia che conoscevo io, o forse quella in cui io speravo di vivere.".

"Ora ti capisco. Però non dirmi che andresti in qualsiasi posto".
"No dai. A Pyongyang, per esempio, non ci andrei a vivere nemmeno dipinto".


4 commenti:

  1. ci riflettevo anch'io, anche se continuo a vivere qui.. non è che forse ci manca l'Italia di quando eravamo più giovani, e avevamo meno pensieri per la testa, piuttosto che un'Italia realmente migliore?
    Per quanto riguarda il fatto che ogni opinione più becera sia legittimata, ahimè è vero..credo sia colpa dei social network, che permettono a tutti di sfogare le frustrazioni (in un momento di crisi), e di dire la propria opinione su qualsiasi argomento (con o senza valide argomentazioni) ..bacio. penny

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    1. forse è vero, ci manca anche l'Italia di quando eravamo più sereni, ma io continuo ad essere convinto, guardando dall'esterno, che ci sia proprio stata un'involuzione nel modo di pensare: certi atteggiamenti, certe idee hanno preso il sopravvento mentre altre, le nostre, stanno via via scivolando perché non più prioritarie... mentre invece è proprio lì la radice del problema. Io non so, so solo che sono avvilito. Un bacione Penny!!

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  2. Condivido in pieno i tuoi pensieri... un'emigrata a Londra. Grazie

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