lunedì 30 giugno 2014
El cliente número 500
Circa un mese fa, tramite Grupon, ho comprato insieme a due amici un buono di dieci lezioni di bikram yoga da realizzare presso un centro a pochi metri dalla Finca Roja. Per chi non lo sapesse, il bikram yoga è una serie di posture di yoga (nel mio caso, per una durata totale di 90 minuti) che si svolge a una temperatura di 40 gradi.
Per come lo vedo io, per fare bene yoga sono necessari, tra le altre cose, concentrazione, senso dell'equilibrio e grande coordinazione. Io non possiedo nessuna di queste qualità.
Le lezioni di bikram sono abbastanza care, tant'è vero che un mese di abbonamento nel centro dove io vado costa 100 €, ma l'offerta di Grupon era piuttosto economica: costava 40 €. Inoltre, mentre completavo l'acquisto, Grupon mi ha comunicato con giubilo che mi regalava 10 € aggiuntivi di sconto, per cui alla fine l'acquisto è stato molto economico.
Ieri sono andato alla mia quinta lezione dove, come sempre, ho perso circa tre litri di liquidi in sudore e, nonostante alcune posture proprio non riuscirò mai a farle, ero piuttosto contento. Sicuramente più della volta precedente, quando sono dovuto stare per quasi un terzo del tempo fermo perché altrimenti sarei svenuto.
All'uscita, il maestro, che è francese, mi ha fermato tutto allegro:
"Gaetano, ti do questo, così le prossime volte che vieni basta che lo passi sotto il lettore ottico e puoi entrare", mi ha detto, passandomi un aggeggio rotondo di plastica con un codice a barre. "Come puoi vedere si può anche legare alle chiavi, così indirettamente ci fai anche pubblicità!"
"..."
"...E poi se dovessi perdere le chiavi le possono portare qui, è successo"
"Ecco, quello è utile..." ho detto con un po' di imbarazzo, pensando che solo un paio di mesi fa ho perso le chiavi di casa.
"...E così posso andare a casa tua a rubare!"
"..."
"...Scherzo! Più che altro ho una buona notizia da darti: sei il nostro cliente numero 500", mi ha detto avvicinandosi per darmi una pacca sulla spalla.
"Davvero?" ho risposto incredulo: io, nella mia vita, non ho mai vinto nulla.
"Sì! E per questo, ti regaliamo un mese gratis illimitato, che ti caricherò sul chip nonappena finirai la promozione in corso".
E sono andato via così, contento del fatto che per la prima volta nella mia vita non sono stato uno sfortunato.
martedì 22 aprile 2014
Itañol
Quando sono venuto a vivere in Spagna non sapevo un'acca di spagnolo a parte "buenos días", "buenas noches", "Zapatero" e "macarena". Di conseguenza, quando mi azzardavo a parlare agli autoctoni nella loro lingua, cosa che era quasi sempre inevitabile, finivo per parlare un miscuglio di italiano e spagnolo meglio noto come itañol, la lingua degli italiani trapiantati in Spagna, o degli spagnoli trapiantati in Italia.
L'itañol (altrimenti detto espaliano) è ben diverso dalla caricatura dello spagnolo perpetrata da certi italiani, che, una volta arrivati in Spagna, pensano che basti aggiungere qualche u e qualche s alle parole italiane per trasformarsi magicamente in castigliani: "Duoves possiamos mangiares tortillas?"(*), tanto per farci un'idea. L'itañol è uno spagnolo parlato con un accento marcatamente italiano e con una grammatica per lo più corretta, ma un vocabolario nel quale, di tanto in tanto, si infilano italianismi azzardati.
Col passare del tempo, via via che il mio spagnolo migliorava, il mio itañol si è affievolito, nonostante, in alcuni momenti di stanchezza o relax eccessivo, tuttora mi escano fuori parole italiane spagnolizzate.
Mai avrei pensato, però, tre anni fa, che l'itañol funzionasse anche al contrario, e cioè che lo spagnolo penetrasse nella mia conoscenza della lingua italiana, iniziando ad annacquarla e riempirla di parole ed espressioni non sue. Difatti l'idea per questo post mi è venuta da un commento di qualche giorno fa di un'amica, anch'ella espatriata e che quindi mi può capire.
Per dirla in altre parole: il livello del mio italiano è peggiorato, no, anzi, è sprofondato da tre anni a questa parte. Sarà che mi capita di parlarlo poco (scrivere non è lo stesso: a voce lo parlo solo quando sento i miei genitori, o con F. che qui è il mio unico amico italiano), ma certe volte mi fermo a pensare a quello che dico e mi sento in imbarazzo. La cosa peggiore è che io ho sempre riso della gente che faceva così, o di quelli che si trasferivano dalle mie parti al nord in Italia e improvvisamente iniziavano a usare parole come "sportina", "dare il tiro" e chi più ne ha più ne metta. Ora chiedo venia e torno indietro con la coda tra le gambe.
Ed ecco a voi una serie di strafalcioni che commetto più spesso di quanto pensi quando parlo in italiano, che altro non sono se non una traduzione letterale di espressioni in spagnolo:
1. "Ieri sera ho cenato carciofi"
In spagnolo direi "Anoche cené alcachofas" ma in italiano no.
2. "Sono uscito a correre"
Dallo spagnolo "he salido a correr", di cui è la traduzione letterale; meno male che non dico "sono salito a correre" ("e dove? in terrazzo?" mi potrebbero chiedere).
3. "Che sì! che no!"
In spagnolo si dice "que sí" / "que no" per enfatizzare una risposta affermativa o negativa. Per esempio:
"Seguro que has tendido la ropa?" "que sí!" ("Sicuro che hai steso i panni?"). Ecco, io ci metto un "che" di troppo in italiano.
4. Usare parole italiane desuete o poco comuni perché sono uguali al corrispettivo spagnolo
Ad esempio: non uso quasi più la parola "veloce", bensì solo "rapido/a". E poi, chi usa più il verbo "solere" in italiano? ("Quel ristorante suole essere economico") Risposta: io.
5. "Tengo un poco di freddo"
Due cagate in una: usare il verbo tenere invece di avere o sentire, solo perché "Tengo un poco de frío" è ciò che direi in spagnolo: peccato che sembri dialetto abruzzese italianizzato, e poi usare "un poco" invece di "un po' ", che fa suonare vecchio.
6. Fare confusione con gli ausiliari. Per la precisione, tendere a usare sempre il verbo avere.
...E questo perché in spagnolo l'ausiliare è il verbo haber, avere.
7. "Preferiro andare lì"
Per fortuna mi è capitato solo una volta. Ma, abituato a dire "prefiero", quando sto per dire "preferisco" sempre, e sottolineo sempre, mi sorge il dubbio che in italiano non sia corretto e non sia in realtà una forma dialettale.
8. "Sono andato a fare la compra"
La spesa, si dice la spesa Gaetano, cazzo, la spesa.
Questa è una richiesta d'aiuto. Aiutatemi a non finire per parlare con un vocabolario di 100 parole.
*Non avete idea di quanto sia comune sentire frasi del genere per strada in Spagna, per lo meno a Valencia. No, no, è molto più comune di quanto pensiate. Più di sentire un raffazzonato "voulez-vous coucher avec moi ce soir" in Francia.
martedì 15 aprile 2014
Otra vez
"Sì, ma è difficile prendere decisioni drastiche quando si è avvolti nell'incertezza...", gli ho risposto, abbozzando, e cercando di dissimulare il fatto che io stia procrastinando ogni scelta cruciale a data da destinarsi.
"Già... Io ho sempre più chiaro che me ne tornerò in America Latina, a settembre. Le offerte di lavoro che sto trovando sono molto migliori di quello che c'è qui in Europa."
"E hai voglia di tornare?", gli ho chiesto, sapendo già la risposta.
"Sì Gae, e poi così posso stare vicino ai miei. E a te non manca l'Italia?"
"No... Sì... No.", ho risposto, evidentemente molto convinto. J. ha riso, una risata di quelle che implicitamente ti dicono che non stanno capendo nulla.
"Certo che mi manca. Mi mancano i miei amici, mi manca la mia famiglia - anche se comunque sarei stato lontano da loro -, mi manca il mio Paese. Ma ogni volta che torno mi sento più estraneo. Io sono cambiato, ma soprattutto ho sempre più l'impressione che l'Italia sia cambiata, come se la crisi profonda degli ultimi anni l'abbia fatta regredire. Vedo un imbarbarimento nei costumi, nelle persone; come se la scusa della depressione economica abbia permesso una regressione anche nell'apertura mentale".
"In che senso?" mi ha chiesto J., spaesato.
"Nel senso che io leggo le notizie dall'Italia, la osservo quando torno, leggo ciò che scrive la gente e mi sento un alieno. Niente di tutto ciò in cui credo sembra avere più spazio. L'Italia sta diventando un paese bigotto, dove è normale rallegrarsi per il naufragio di un barcone di immigrati o il pestaggio di un omosessuale; dove non suscita sconcerto diffuso dare della scimmia a un ministro di colore; dove il sessismo è uno strumento politico qualunque, dove quelle che in altri Paesi sono conquiste di civiltà ormai assodate si fanno sempre più lontane"
"Vedi però... Questa è l'immagine che ho io dell'Italia, e che sempre mi hanno confermato, con i loro racconti, gli italiani emigrati che ho conosciuto".
"No, non è questa l'Italia", ho risposto io, convinto e un po' incazzato, "o almeno non era questa. Prima c'era un barlume di politicamente corretto, c'erano dei valori che pian piano prendevano spazio, c'erano differenze tra diverse parti del Paese nel modo di pensare. Ora è come se l'opinione più becera sia stata legittimata, crea più scandalo un bacio tra due uomini che non un incitamento a imbracciare i fucili o un vecchio che va con una minorenne". Nel frattempo, mi sono accorto che stavo liberando la tavola nervosamente.
La cosa più brutta dell'avere espatriato è guardarsi alle spalle e non riconoscersi nelle proprie origini: non perché si vogliano rinnegare, ma perché sono proprio loro ad aver rinnegato te.
Quando, di questi tempi, si parla della nuova emigrazione, si fa riferimento a giovani e meno giovani in cerca di un lavoro in Paesi con più prospettive. Mai si parla di chi se ne va per scelta, per cercare una vita migliore, per sentirsi identificato e orgoglioso di ciò che lo circonda. Sempre si pensa a quanto sia difficile adattarsi ad un contesto sociale diverso da quello di provenienza, mai a quanto sia difficile restare lì dove ci si sente sempre più minoranza.
Sono andato via dall'Italia esattamente tre anni fa e ho imparato, in questi anni, a cercare di sentirmi a casa lì dove non è casa mia; ho scoperto che è più facile che restare. Ho scoperto che, quando i miei interlocutori criticano l'Italia e gli italiani, con gli argomenti di sempre, nasce in me un certo orgoglio, una certa voglia di difendere il mio Paese che prima non avevo, e che però piano piano si fa sempre più effimera. E anche se le cose in questi tre anni non sono sempre andate come avrei sperato, o forse quasi mai, in nessun momento mi sono pentito della mia scelta.
"A me manca l'Italia, ma non questa. Mi manca l'Italia che conoscevo io, o forse quella in cui io speravo di vivere.".
"Ora ti capisco. Però non dirmi che andresti in qualsiasi posto".
"No dai. A Pyongyang, per esempio, non ci andrei a vivere nemmeno dipinto".
mercoledì 2 aprile 2014
Nadando
Per una persona a cui piace nuotare, avere una piscina dall'altro lato della strada rispetto a dove si lavora è un gran colpo di fortuna, oserei dire un lusso.
Da più di un anno, due volte a settimana, approfitto di questa fortuna e, in pausa pranzo, attraverso l'Avinguda dels Tarongers e vado a nuotare alla piscina dell'Università Politecnica. Nuotare è bellissimo: quando finisco mi sento sempre carico di energie, affamato, e di buon umore.
Tuttavia, sicuramente massimizzerei questi effetti benefici se non dovessi spartire la piscina con la maggioranza di quelli che la frequentano nelle ore di nuoto libero. E sono proprio stati lo stress e la frustrazione sviluppati nella giornata di ieri, dove sembrava che il Congresso dei Soliti Stronzi si fosse dato appuntamento alla piscina dell'UPV, che mi hanno spinto a rispolverare questo blog ibernato da 6 mesi con una finalità di progresso sociale: scrivere
IL CODICE DELLA PISCINA
che, quando sarò importante, avrà la stessa importanza del codice della strada.
Premessa: chi scrive ha fatto qualche anno di nuoto. Ciononostante, anche quando partecipavo alle gare di nuoto ero abbastanza una merda, per dirlo con eleganza. Se ho vinto due bronzi di categoria, infatti, è solo grazie a una fortuna sfacciata: gli altri concorrenti erano assenti o sono stati squalificati, per cui abbiamo tagliato il traguardo solo in tre. Tuttavia, ho imparato sulla mia pelle che rispettare le seguenti regole migliora la salute, propria e del prossimo.
Art. 1. Se il tuo obiettivo è imparare a nuotare, iscriviti a un corso di nuoto e non al nuoto libero.
Comma. Saper stare a galla e spersi muovere non vuol dire saper nuotare.
Art. 2. È vietato andare a nuotare in piscina con la maschera e il boccaglio.
Art. 3. Se vuoi fare acqua gym, iscriviti a un corso di acqua gym.
Art. 4. La linea blu sul fondo della corsia serve, tra l'altro, a dividere la corsia in due direzioni. Quando si nuota bisogna tenere la destra, e questo anche se ci si trova nel Regno Unito, Irlanda, Cipro etc.
Art. 5. Non si va in piscina per mettersi a bordo vasca a ciarlare e fare versi strani. Se volete andare in un posto solo a socializzare, senza fare attività fisica, la palestra fa per voi. Il nuoto è uno sport splendidamente asociale.
Art. 6. In una delle corsie un cartello indica: "Corsia rapida". Dovrebbe essere superfluo e ridondante dirvi che, se siete lenti o rientrate nella categoria di cui all'art.1, non dovreste andare in quella corsia. Mai.
Art. 7. Quando si condivide la corsia con altra gente, si capisce subito chi è più rapido e chi meno. Se vedete che una persona più rapida di voi sta per arrivare, anzi è lì pronta a fare la virata, non affrettatevi a partire: aspettate che passi.
Comma. La persona, più veloce di voi, che stava arrivando e non avete fatto passare è autorizzata a toccarvi il piede per indicarvi di lasciarla passare.
Art. 8. È inutile, mentre si nuota a dorso, spingersi col galleggiante per far credere al prossimo che si è veloci.
Comma. Questo vale anche quando si fanno esercizi di gambe con la tavola.
Art. 9. Sedersi sui galleggianti è vietato ed è cosa da bambini. Ma, se fatto da una persona di mezza età, meriterebbe l'espulsione dalla piscina.
Art. 10. Attraversare la vasca di traverso passando sott'acqua è vietato.
Comma. Qualora vi mancasse l'aria e siete ancora a metà strada, cazzi vostri.
Art. 11. In una piscina abbastanza affollata nelle ore di nuoto libero, nuotare a delfino è un crimine.
Art. 12. Nel nuotare a rana, fare attenzione a non dare calci alle gambe o alle palle della persona che passa nel verso contrario o nella corsia accanto.
Art. 13. Ci sarà un motivo per sui è obbligatorio indossare la cuffia. Per questo motivo, è vietato, alla fine della nuotata, togliersi la cuffia e immergere i capelli nell'acqua (per quale cazzo di ragione poi uno lo dovrebbe fare?)
Comma. Se avete più peli che capelli, e in grande quantità, forse dovreste considerare il burkini.
Disposizioni transitorie e generali. Prima di entrare in acqua, il costume va allacciato bene, per evitare l'effetto salvadanaio.
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